mercoledì 2 gennaio 2008

14.05.2007

Ogni proiezione “ideale” ha una forte connotazione utopistica. Niente di male, anzi. Un mondo di fratelli di pace e di lavor. Cantavamo così mentre ci chiudevamo in noi, nella Ragione che separa, cantata con parole che inneggiavano all’unione. La Sinistra che oggi si definisce “riformista” sentendosi al passo con i tempi e pretendendo di rendersi utile per favorire un futuro adeguato, fa da contraltare alla Sinistra che chiamiamo “radicale”. Pericolosamente massimalista, cioè incline al sacrificio del diritto dell’individuo in omaggio all’interesse collettivo. Roba o di altri luoghi o di altri tempi. Roba sempre pronta. Come i gambali delle statue dei tiranni che cadendo li lasciano lì, disposti a nuovi ospiti.

Ma c’è altro. Il dualismo è un modello corto, si paventa spesso una terza via. Ci sono stati e sempre ci saranno “i terzisti”. Né con lo Stato,Né con le BR (che brutta posizione). Apocalittici o Integrati. Il “centro” come alternativa compiuta tanto alla sinistra quanto alla destra. I neocon, i gli atei devoti. Insomma un impegno ad affrancarsi, a garantirsi una distanza dagli orrori che ognuno riconosce nella casa all’altro.

La mia terza via è cresciuta con me. Sono carne viva della sinistra che non c’è, né mai ci sarà. La sinistra libertaria, liberale, laica. L a sinistra che considera ognuno, che ne premia la dignità, che ne pretende la ragione. La sinistra che non teme e non brucia il tempo del confronto, della ricerca, dello studio. La sinistra che spera, lavora e vuole continuare a sperare. La sinistra che si confronta con ciò che è necessario e costruisce tutto quello che ora è possibile. La sinistra dei piccoli passi, del rispetto delle regole. La sinistra che sceglie e non teme gli errori perché sa farsene carico e correggere l’opinione e l’azione che ne è derivata.

Con questa utopia, nomi e cognomi, gesta e inciampi, incamminiamoci a discutere del partito nuovo. Il Partito Democratico non si patteggia, si costruisce insieme. Ma più che dirlo vorremo farlo e sentiamo subito un assenza di luogo, una difficoltà di metodo. Chi ne avesse interesse, capacità e voglia dovrebbe sentirsi chiamato a esprimere e confrontare la “sua” possibilità di “essere” responsabilmente e autorevolmente parte. Proposta, artefice. Piuttosto che spettatore, consenso, coro. La sinistra che non c’è è generosa e disinteressata per questo va chiamata all’assunzione di responsabilità.

C’è una pressione ed un invito a riconoscere tutti la necessità della politica e del suo primato nelle regole della convivenza. La politica è il sale della democrazia, alla politica si devono corrispondere doti quali la moderazione fusa con la determinazione, la disponibilità alla soluzione che convince e coinvolge, l’abilità nel fare. Quindi impegno primario è la riabilitazione in ognuno della politica come arte della convivenza e dell’evoluzione.

Si può ora approcciare con lo steso tono e la stessa convinzione la considerazione su i politici. Cioè su coloro che fanno la politica, che risultano dalle elezioni democratiche e dalle nomine ? Si può ?
La sinistra può dire noi no ? E al lavoro ci recheremo convinti che “i nostri” siano da difendere a prescindere o con la mente disposta a scoprire ciò che suona più opportuno e meglio attrezzato ?
Regole e percorsi non saranno sufficienti. Occorrono tribune per protagonisti che sfidino il tempo giocando il proprio destino anche a partire dal recente o remoto passato. Nessuno si senta offeso.

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