lunedì 20 dicembre 2010

VENERDì 17, DICEMBRE 2010

Ci sono date che sono fatte apposta per cominciare un racconto. Ce l'hanno in se la storia. Non passa liscia. Al massimo inosservata. Ma qualcuno la sa e la custodisce per la prima occasione utile. Per una bella storia occorrono orecchie sensibili, disponibilità d'animo. Una curiosità si coglie e poi si colleziona.Lo spazio di una storia può essere un tempo, un luogo, una ragione, un sogno, un desiderio, una combinazione. Una qualsiasi di queste cose può dar vita ad un racconto indimenticabile sempre che trovi l'innesto. Venerdì 17, dicembre 2010 può fare da innesto ? Vediamo.

La nevicata abbondante era stata annunciata e la previsione passava di bocca in bocca modulata su toni che tradivano l'attesa ma non la preoccupazione. "Anche l'anno scorso, proprio di questi tempi, ci fu la nevicata, ricordi ?" "Già anche l'anno scorso" "Non è che mentre aspettiamo la desertificazione ci lasciamo fregare dalla glaciazione ?" " Si ma non prendere l'auto, prendi il treno: è più comodo e più sicuro"

Ma conversando nessun riferimento a quel Venerdì 17 che cominciava a scorrere con quell'aria pungente che aveva reso dolorose le tre dita pollice, indice e medio che si impegnano per tenere aperto il giornale durante la passeggiata col cane. Lui corre e lui legge. In parallelo due bisogni fisiologici: annusare il fogliame e l'aria che tira. Ogni mattina di buon ora Colui che porta il cane a spasso apre il suo giorno e il suo bisticcio quotidiano con lo stato delle cose e con il suo ormai cronico disagio. Ma, stretto dal freddo pregusta. Non solo si informa, fa il suo dovere di democratico accompagnatore di cane meticcio dal carattere ombroso e camminando pregusta come potrebbe essere divertente organizzare tiri mancini.

"Dormono e russando si danno un sacco di arie i nostri politici qui al governo e in Italia comodamente all'opposizione."

L'aria è davvero pungente e non ci resta che tornare sui nostri passi in quel caso. Non ce la fanno i pensieri a far caldo, a spingere oltre e dolgono le dita e, a dire il vero anche il cane, non gradisce . " va bene così " ha scritto negli occhi e gira sui tacchi.

"Che hai deciso, vai in treno ?"
"Si forse è meglio. Puoi guardare un po' su internet ? Potrei partire dalla nostra stazione che fortunatamente è sulla linea di percorrenza. Lascerò l'auto, prenderò il treno, leggerò un'oretta."
"Magari ci vorrà più di un'ora ma sicuramente è più comodo e più sicuro: dicono che oggi nevichi."
"Dicono che oggi nevichi ? Si lo dicono troppo perché si avveri!"

Certo la neve è bella e tira scherzi niente male. Era già oltre Mosca l'Europa a cavallo di Napoleone. Erano intorno a Stalingrado le truppe naziste del dittatore viennese. La neve cadde silenziosa sulla 6° Armata e il gelo fece il lavoro sporco bloccando definitivamente ogni pretesa. La neve isola, taglia fuori, blocca gli accessi e impedisce la fuga. Oggi, più modestamente, separa i congiunti e pone tutti noi difronte a sconosciuti che si comportano come noi. Ognuno per proprio conto, ognuno col proprio racconto.

Alle ore 11,14 transita con qualche minuto di ritardo il treno che le fa tutte le fermate, anche se a salire e scendere a quell'ora non c'è che qualche studente che torna a casa per le vacanze e un gruppo chiassoso di cinesi, che per fortuna alla terza fermata scendono,lasciando una sensazione di vuoto.

All'arrivo trovo il mio amico che si è fatto accompagnare da due giovani collaboratrici. Tradotto significa che lui tira avanti un carro e loro provvedono a mantenerlo in sesto. Lui provoca e procura e loro danno forma e senso al lavoro. Campa da vent'anni con un Festival Rock. Il più interessante e bistrattato Festival Rock d'Europa. Una cosa che ormai va inonda a dispetto del suo destino, del suo Patron, dei suoi fragili e incrollabili ingredienti.

La mia consulenza, però, non riguarda il Festival. E' generata dal Festival ma riguarda il suo Patron che è nato nella città di Angelo Pirella.

Qui merita uno stop: bisogna ricordarsi che Angelo con Franco Basaglia fecero di quella città, forse, la prima che accolse i matti nelle pieghe urbane. "Matti da slegare" fu una stagione di tenerezza e pazienza, di accoglienza e timore, coinvolgente e radiante. All'epoca gli avevo fatto visita più di una volta. Abitavo altre storie, lo facevo senza nemmeno rendermene troppo conto.



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martedì 23 novembre 2010

Ed ora siamo

Ed ora siamo al 23 novembre del 2010. Sono le 17 e 35 e sono a casa perché me lo posso permettere. Quello che credevo quando redassi il post che precede quest'intervento non si è avverato. Tutto si è fatto nuovo. Ancora una volta e non è stato un male. Anzi: un dispiacere ha generato una nuova soddisfazione. Ora chissà cosa provoca in chi legga questa nota un incipit di questo tipo. Se ha letto cosa scrissi solo una anno fa troverà confermato che niente va come promette di andare. Non sono diventato un cantante come avrei voluto quando a sei anni mi nascondevo in garage e modulavo con quanto fiato avessi "mamma, solo per te la mia canzone vola/mamma, tu sei per me tu non sarai mai sola/quanto ti voglio bene..". Niente canto. Nemmeno sono restato a misurare gli scavi per l'opera di captazione delle sorgenti dei comuni di Guardistallo, Castellina Marittima e Montescudaio. Un'idea e una possibilità che si consumò nel giro di anno o poco meno.Mettere in fila i salti potrebbe annoiarvi. Quello che conta è che le radici non presero ( attecchirono) mai e la pianta, volando, cambiava quel tanto che la conservava uguale a se stessa. Verdina.(argomenti su cui tornare)

Mi ha telefonato una amico. Uno che conosce i segreti dell'universo dei blog. Uno che vedrei volentieri come rigattiere di parole e sentimenti logori. Uno che fa collezione di sensazioni che mantiene in disordine con cura. E mi ha chiesto : " come stai?" . Non so come mi tenga gli occhi addosso ma ha letto le poche cose scritte qui sopra e si è preoccupato. Appena ho tempo vedrò di capire meglio quello che ho scritto.

martedì 24 novembre 2009

L'eco più forte.

FACEBOOK mi ha allontanato da questa solitudine. Ma non va bene. Torno. Mi ha sorpreso vedere quanto tempo è passato. Pare ieri. L'ultimo post è datato gennaio 2008. Possibile ? Eppure !Se ora mi chiedete a che punto stiano le cose io non saprei che dire. Mi pare che vada bene il consolidato senso di precarietà. Ogni giorno il successo consiste nel fatto che lo status è quello, non cambia. E non ci chiediamo perchè e nemmeno come. E' così. Tra me è la certezza c'è una separazione dinamica. Non passo da un posto all'altro per processo evolutivo, promozione, aumento di considerazione. Non guadagno di più, non ho più titolo. Nemmeno retrocedo, perdo in capacità d'acquisto, né mi arrocco, mi nascondo, acconsento. Niente. Nemmeno questo. Ma resto appeso al filo. Il mio contratto è di quelli che scadono. Devo stare tranquillo ? I potenti miei amici ripetono che si, devo stare tranquillo. Ed in fondo tranquillo sto tenendo gonfio il canotto e confidando ancora nella capacità di spingere sui remi. Vedremo e vi faro sapere.

Amici che non ci siete: scrivere nel vuoto rende più forte l'eco.

martedì 3 febbraio 2009

Il dubbio viene

Il dubbio viene.
Non c'è niente da fare: il dubbio viene. Ci sono momenti che resta soffocato, altri in cui ti trova distratto. Ci sono impennate di presunzione, grumi d'orgoglio, comparazioni che paiono vantaggiose. Ma il dubbio viene.
In fondo solo poco più di un pugno di decine d'anni fa, intorno a me, se una cosa c'era, era la certezza. Eravamo certi d'essere persone perbene, lavoratori, attaccati alla famiglia, ai figli, alla loro educazione, alla trasmissione di valori a cui era stata dedicata la vita. Solo poco più di un pugno d'anni fa : padroni e preti da una parte; lavoratori, partigiani, garibaldini e poi comunisti dall'altra.
Nel mezzo la città. I quartieri, le macerie lasciate dalla guerra, le botteghe artigiane, gli spacci alimentari, il quadernetto nero chiuso da un elastico in cui da dietro il banco annotavano il resto non riscosso sulla spesa di ogni giorno in modo da accumulare un po’ di risparmio che avremmo usato a Natale per mettere in tavola una bottiglia di spumante e una scatola di Ricciarelli.
Nel mezzo tra noi e loro. Un pianerottolo e due porte. La nostra e di fronte quella della Signora Baldorilli che era la sposa giovane e in carne di un sottoufficiale dell'aviazione militare. Loro non votavano comunista nemmeno a parlarne eppure "buon giorno Signora..", "..buon giorno Signora". "Vittorio, fai il bravo, vai a sentire la Signora Baldorilli se per caso ha un po’ di sale da prestarci che l'ho finito. Poi quando esco lo compro e glielo rendo". Ed io un attimo dopo suonavo il campanello alla porta di fronte, su un pianerottolo lindo che pareva un salottino, che veniva mantenuto così dal turno di pulizia che le signore si erano divise e che naturalmente avevano rispettato con la rinomata precisione delle Guardie Svizzere. "Buon giorno Signora Baldorilli - dicevo - ha mica da prestarci un pochino di sale che dopo la mamma quando esce lo compra e glielo rende, per favore" " Ma certo, entra, entra" Ed io guardavo la casa che pareva uno specchio. La cucina in formica azzurrina era su per giù come la nostra ma la sala sembrava un film. Buia e lucente. Un tavolo ovale con il vetro e le sedie imbottite con la seduta rosso ruggine. Due specchiere, un divano, una libreria e la radio, grossa, con il giradischi per sentire le romanze. Centrini e soprammobili. Poggiate sopra un vassoio, due bottiglie che parevano sculture, di vetro grosso e tappo quadrato in cui brillava un liquido che a guardarlo sembrava buonissimo. "Ecco qua, di alla mamma che non si preoccupi, per un po’ di sale".
Nel mezzo il nostro rione, ora diremmo il quartiere. La casa del popolo e la parrocchia. Chi andava a catechismo, poi giocava a ping - pong. Era difficile che quelle famiglie ci dessero il voto. Noi alla casa del popolo si ballava con la musica di un Jukebox, ma tra maschi. Il sabato sera i grandi ballavano con le ragazze e noi sempre tra maschi.
In linea di massima era tutto chiaro. Noi avremmo dovuto studiare e i genitori lavorare sodo. Senza tante storie, passo dietro passo. Sapendo che quello era il percorso da compiere, che un giorno, ormai non lontano, l'Italia sarebbe stata dei Lavoratori. Governata dal Partito Comunista di Palmiro Togliatti ed anche loro, uno alla volta, compresa la Signora Baldorilli e suo marito il Maresciallo Maggiore avrebbero votato, magari senza dirlo, per il Partito Comunista Italiano.
Cosa che non accadde mai, ma a tutti noi non mancò niente. A parte il fatto che a me i Jeans originali americani, i Lee, non me li comprarono mai. Se volevo c'erano i Reefle, quelli che non scolorivano, se no niente. Ma che conta, che importa. Quello era il particolare che non va mai confuso con il generale. Alcuni con i Jeans che scolorivano ed io unico a cui non scolorirono mai potemmo conservare le nostre differenze, arricchirle, disegnarle. Potemmo occupare quella terra di mezzo che era la città, le piazze, le strade, le scuole, con i nostri canti e le nostre intenzioni. A volte festose, altre più cupe e indispettite.
Il tempo vola e quello che vedemmo passare, non va detto per amor del rimpianto, era davvero un gran tempo. Gli uomini e le loro consorti erano usciti dalla guerra ed ora le corti erano piene di marmocchi. A questi dedicarono, più che l'attenzione, l'immaginazione. "A scuola, a scuola...a lavorare ci si pensa noi" quando lo dicevano non ti guardavano nemmeno. Non volevano mica convincere. Lo dicevano per se.
Il dubbio, viene. Anche allora e negli anni a seguire. Quando si andava a votare era dura. Anche allora, qui da noi si vinceva ma in Italia, nel paese vincevano i preti e dietro a questi i padroni. Erano di più. Erano di più le monache delle mondine, i parroci dei minatori, i padroni degli operai. Da non credere.
Via San Lorenzo si chiudeva a T. A destra, a pochi metri la Questura: " sui muri della Questura c'era scritto in rosso, la rivolta è orami vicina/ La polizia ha arrestato un paio di pennelli, ma sono scappati anche questa volta un gruppetto di ribelli " . A sinistra, dopo aver scorso il muro di una bella fabbrica, si trovava Porta San Zeno. In quella fabbrica lavoravano tante donne. Era la Marzotto, ottocento operai. Ottocento famiglie operaie che nel giro di pochi mesi si trovarono in mezzo alla strada. Insieme a loro, i nostri canti e i nostri cortei ma la Marzotto restò chiusa ed ora è la sede della segreteria della Università degli Studi.
Spariti. Spariti come gli operai della Vis, della Fiat di Marina, della Piaggio, del Pennellificio Toscano. Migliaia di famiglie che restano e cambiano. Una volta ci mettemmo a contarli, avremmo voluto raccontarli. Fabio ne intervistò per ore ed ore di nastro. Nessun dramma, il terziario e l'Università avevano ammortizzato il colpo. Noi eravamo cresciuti, appesantiti e trasformati. Tutto sotto gli occhi, tutto come sabbia che corre via dalla mano. Tutto, e il dubbio viene e rimane.
Abbiamo nuotato per anni come pesci nell'acqua. Zelig, Fregoli, Bustric non sapevano far meglio. Tu disoccupato ? Disoccupato anch'io. Tu soldato ? soldato anch'io. Tu carcerato ? Carcerato anch'io. Ma anche tu sardo ? sardo anch'io. Tu Siciliano ? Siciliano anch'io. Come pesci nell'acqua: identici ! E' così che si faceva "un mondo di fratelli", altro che canzoni.
Conobbi Ciuzzo ad Agrigento ma veniva da Gela. Aspettava sulla soglia del Centro Sociale. Dal continente arrivavano due compagni del Movimento. Due che erano scesi per restare, per costruire insieme l'organizzazione per le lotte di tutti i picciotti. Ma non ho voglia di parlare di quell'esperienza come di un'esperienza politica. Non ho voglia nemmeno di ricordare le parole del nostro viaggio a Sud. Per me poi, non era nemmeno sud. Era più in là.
Ciuzzo Abela da Gela. Studente Medio, frequentava poco e svogliatamente le Scuole superiori, mi pare l'Istituto Tecnico Industriale, chimico. E', certo. A Gela l'Anic aveva impiantato il petrolchimico e di li a poco era nato un quartiere residenziale dove vivevano i tecnici. Tutt' intorno una campagna bruciata dal sole, silenzio rotto dallo zillare delle cavallette. Gela, capirò, non era la città più brutta d'Italia. Era il luogo più stupito che abbia mai visto. Le persone e le cose parevano chiedersi “ma davvero son qui ?” Lo stupore fu reciproco e immediato, come la simpatia, la fiducia e l'amicizia. Profonda, generosa, naturale. Ciuzzo era moro, alto. Le guance coperte da una lucente barba nera e occhi vispi e voce forte e versatile, ma bassa e profonda. Sette fratelli maschi, padre e madre. Si arrangiavano producendo e vendendo prodotti chimici. Saponi e detersivi per lavare auto e superfici. L'importante era che i figli studiassero. Prendessero un titolo, si mettessero al riparo dalla paura di una povertà sempre pronta a prendere il sopravvento. Mi trattenni con loro a lungo. Insieme a dire no. No ai sindacati, ai partiti, alla chiesa, ai notabili. No. Mi trattenni a lungo ad ascoltare la storia di poeti e naviganti. Di fratelli che non sarebbero più tornati. Di morose che non potevano essere guardate, nemmeno pensate. I destini erano segnati. In più Ciuzzo aveva una malattia che pareva una fortuna. Zoppicava ma era veloce. Aveva due mani enormi e un viso della bellezza di un Cristo. Parlava ai suoi con voce calma e raccontava che Gela avrebbe potuto essere bella. Con la sua marina e la sua campagna. Quello che guastava era lo sfruttamento. Era quel prendere senza chiedere. Era che l'Anic faceva stare bene e sperare solo quei pochi e non tutti siciliani. A Gela c'erano anche i sardi. Ma agli altri, ai meschini, cosa prometteva ? Cosa dava ? Lavoro precario, rischi e fatica. Tanta fatica e rischi che puntualmente facevano suonare le campane della chiesa centrale.
Il lavoro non c'era e il reclutamento era una feroce costruzione d'inimicizia. Emigrazione e rimesse. Case che al posto del tetto avevano i ferri per le camere della sposa appena fossero arrivati dei soldi dalla Germania. Gela era stupita che qualcuno si fermasse a parlare. Che ascoltasse la loro voce e che raccontasse dei fratelli del nord. A pensarci quello che passò fu un venticello che lì per lì rinfresca un poco l'aria e lascia che il dubbio poi si faccia strada da solo.
Era come se avessi fatto una corsa impegnando le forze che avevo senza tener conto della respirazione necessaria, del dosaggio e rimasi in mezzo al guado. Battuto mi ritirai. Pochi mesi e mi nacque il primo figlio, pochi mesi e arrangiai qualche lavoro, pochi mesi e sentii suonare alla porta. Andai ad aprire. Era Ciuzzo. Si iscrisse alla quinta dell'Istituto Tecnico Industriale della mia città. Viveva a casa con noi. Cullava e ninnava mio figlio con quella sua voce bassa e melodica e il giorno di un compleanno, dopo una buona mangiata e uno robusta bevuta, mentre giocavamo a ping pong, si accasciò e mori tra le mie braccia.
Io lo accompagnai a Gela. La chiesa centrale lasciò che entrasse la bara accarezzata dalle sue bandiere. Le bandiere erano rosse e senza stemmi. Tutta la città aveva il cappello in mano. Il suo tempo era finito e anche quello dello stupore si mostrava rassegnato.
Un salto. Fanne un altro. Sono trascorsi trentasei anni. A Gela c'è un sindaco battagliero. Saro Crocetta. C'era già anche ai nostri tempi. Era un picciotto del '51 e gironzolava intorno. Non ho ricordi, mi resta solo il nome e la sua dichiarazione pubblica di omosessualità. Forte. Nella mia stagione a Gela le giornate si dividevano tra studenti medi in sciopero, operai dell'Anic in riunione, disoccupati al collocamento, la sede, il ciclostile, la competizione con quelli di Potere Operaio che ramazzavano costruendo un vicolo tra lotta di popolo e lotta del partito armato. Un continuo ammiccamento ai miei che invece mi tenevo ben stretti. Però erano più belli loro. Alti, atleticamente prestanti e accompagnati da donne misteriose e attraenti. Donne che si lasciavano sognare. Parlavano nei capannelli ma non erano brave ai fornelli e anche l'ordine in casa era quello che era. Noi eravamo più bravi sia ai fornelli che con la granata. E' certo. Eravamo più bravi. Ma a volte mi prendeva una voglia di tenerezza che non stavo in piedi. Beati loro, pensavo. Mi giravo e affogavo tutto nel sonno. Una sera, anzi era notte fonda, tornavo da Siracusa dove si era svolta una riunione non so più su che, perché, con chi, imboccai una curva che si apriva sull'ultima discesa prima di abbandonare l'asfalto e inabissarsi nel quartiere senza strade e senza fogne dove avevo affittato un bellissimo appartamento a tetto da cui vedevo il mare e le luci del petrolchimico con cui a volte ragionavo. La notte non era buia, era grigia, calda. Tutto serrato, russava, e si potevano cogliere gli sbadigli dei gatti e il passo rassegnato dei cani randagi. Da una porta una luce invadeva il piccolo marciapiede e da una tenda composta da fili di simil corallo una gamba faceva capolino. No ?! Sobbalzai alla guida. Una puttana a due passi dall'arrivo. A due passi da quella rassegnata solitudine c'era una puttana. Un miraggio ? Un miracolo ? Comunque un cambiamento. Una epifania ! Accostai la cinquecento al marciapiede. Mi guardai intorno. Il capo dei picciotti che vogliono fare la rivoluzione imbucarsi con una puttana non era proprio un granché di notizia. Ma l'ora era tale. Scesi attraversai la strada come se non fossi io ed entrai. Sulla sedia dietro la porta un uomo piccolo portava la coppola e teneva lo sguardo basso. Appena varcata la soglia si alzò e uscì. In fondo alla stanza in piedi davanti al letto un uomo mal travestito con la gamba colpevole ancora bene in vista. No! No! NOOO! Uscii senza correre, salii in macchina e me ne andai mentre alle spalle sentii soltanto: "Aspetta". Quella notte faticai di più a prendere sonno.

Anni luce, fisionomia dispersa. Le cose stanno insieme, si parlano ma non aspettano la risposta. Convivono come i separati in casa. Gli episodi si guardano in cagnesco e il dubbio viene.

(continua)

martedì 11 novembre 2008

Mamma Africa

Ha cantato con l'ultimo respiro, ha dondolato la testa come fanno quelli che sanno che quello che gli esce dalla bocca non sono parole ma è musica. Musica che consola, che accompagna, che racconta, che esorta. Mirian Makeba lo faceva dall'inizio degli anni 50. Mamma Africa muore a Castelvolturno dopo aver cantato per Roberto Saviano. Ho sempre pensato che nella morte naturale c'è un tratto eroico. Tirarla fino in fondo, non aspettare che arrivi ma lasciare che arrivi. L'ultima pagina di certi libri lascia la certezza che quello che ci ha accompagnato non può più finire perchè è diventato un pensiero. Si è trasformato nelle poche cose che sappiamo. Un regalo.

venerdì 3 ottobre 2008

L'acqua di un lago.

Nel film di Paolo Benvenuti - Puccini e la fanciulla - , tra l'altro, c'è l'acqua del lago. Ferma, tagliata dalla navigazione dei barchetti. C'è il vento che piega le canne ma l'acqua si colora con le ombre delle sponde e tace. Non è acqua stagnante. Sotto correnti lente la rinnovano. Ora penso che è bella l'acqua che si muove e che si rompe. La vita là sotto si dà da fare, si organizza. Le acque intorno a noi si mostrano agitate. Forse è la speranza che si contrappone alla disperazione di non potere più nulla. Il gioco è davanti ad ognuno e il bicchiere non è ancora vuoto.

Si è aperta la competizione e si incontrano le frasi di un confronto che ancora non convince. Per ciò che è necessario occorre un'articolazione più forte e più lenta. Dovrebbe lasciarsi apprezzare, lasciarsi ammirare. E' questione di movimento. Quando il barchetto si stacca dalla sponda si fida della sua siluette. E' visibile e apprezzabile la sua sicurezza. Ancora manca qualcosa che potrebbe essere poco, ma è tutto.

martedì 16 settembre 2008

Questi son tempi duri. Non sprechiamoli.

Se dovessimo raccontare ad uno sconosciuto, curioso, capitato per caso dalle nostre parti, da che parte cominceremmo ?
Proviamo insieme:
Questa città, potremmo dire, è una delle più antiche, belle e ricche del mondo. Non è tanto grande ma intensa. Frequentata ed ambita e normalmente carica di problemi funzionali, ambientali, sociali. In questa città è in scadenza il governo. Tra poco i cittadini dovranno assegnare il compito ad una nuova amministrazione.
Come sappiamo la vita politica della città è affidata ai partiti anche se l’elezione si concentra sul nome di un cittadino di questo o quello schieramento di partiti, appunto. Chi raggiungerà la maggioranza più uno dei voti espressi diverrà Sindaco. A lui e alla coalizione che lo esprime toccherà governare per cinque anni la nostra invidiata città.
Sconosciuto: Bello ! Semplice, diretto. I candidati sono espressione di schieramenti. Presentano agli elettori cosa intendono realizzare, come intendono farlo, con quali forze (componenti politiche e sociali) e se creduti ottengono i voti necessari, vincono.
Non è così ?
E’ così. Certo. Figuriamoci. Qui da noi ci sono due schieramenti ma potrebbero essere tre o addirittura quattro anche se il Sindaco scaturirà dalle formazioni politiche maggiori. Probabilmente dal Partito Democratico nel caso che si affermi il centrosinistra o dal Popolo delle Libertà nel caso che invece vinca il centrodestra. Deve tener presente, anche, che in modo ormai sancito e ribadito il Partito Democratico sceglierà il proprio candidato attraverso un consultazione elettorale denominata Primarie !
Sconosciuto: Eccezionale ! La democrazia fondata sulla partecipazione. Il partito Democratico sarà in campo con un candidato condiviso perché scelto. Chi, per fare cosa, con chi !
Non è così ?
E’ così. Certo. Pensi che in quest’occasione mentre lo schieramento del Popolo delle liberta non ha ancora annunciato alcun confronto per scegliere il proprio candidato per il Partito Democratico si profila un confronto tra cinque opportunità diverse. Una donna e quattro maschi. E stia attento, quando dico diversi intendo diversi. Coabitano un’area politica, si ispirano a principi di giustizia, vogliono rendere la città più moderna, più vivibile, più facile, più sicura e anche più ospitale. Ed ognuno lo vuole con un disegno proprio, con un percorso proprio.

Sconosciuto : Ma è un vantaggio incredibile ! Perché gli altri non fanno così ? Sono pazzi ? Tutti gli abitanti della città proveranno più simpatia per uno piuttosto che per un altro, ogni progetto diverrà terreno per considerazioni, ragionamenti e alla fine quando decine di migliaia di persone si recheranno alle urne per scegliere il proprio candidato la forza di quello schieramento sarà davvero cresciuta. A casa mia è andata così.
Non crede ?