martedì 22 aprile 2008

Frantz Fanon

Anche i libri restano vittime inconsapevoli di bruschi cambiamenti. Si possono avere motivi per sbattere una porta e loro restano chiusi dentro l'incompatibilità e le conseguenti cattive relazioni. C'è chi è forte e torna a prendersi i libri e chi come me, sentendosi anche in colpa, cancella il file e se la vita deve continuare tanto vale ricominciare. Passano gli anni e restano in mente, alcuni riemergono con il tempo. La prefazione di Jean Paul Sarte. Le note biografiche e quindi il saggio: "I dannati della terra". Einaudi editore. La nostra piccola libreria di Piazza Dante prese quel nome da un medico nato a Fort de France nel Luglio del 1925.

lunedì 14 aprile 2008

Il giorno delle elezioni

Non vedo l'ora che passi eppure sò che meglio non può andare. E' inutile. Abbiamo già preso tutto e lo abbiamo difeso senza guardare. E' così tanto che anche volendo e difficile rendersi conto.
Ecco dove mi trovo. Sul confine ampio di una fortuna sfacciata. Restare, andare, non cambia molto. Ora, via, via, qualcuno lascia ma saluta con garbo e ritrosia. L'importante è non darsi troppe arie e nemmeno troppo da fare.
Non c'è niente che meriti di essere confessato. E' tutto talmente evidente che ben che vada confessare ispira commiserazione o peggio: è un interesse privato in atti d'ufficio. Ma cosa credi di aver fatto ? Cosa credi di aver visto ? Eravamo come siamo tutti insieme, gli uni e gli altri, alcuni dietro altri più in là.
Quelli coscienti non vedevano il presente, quelli incoscioenti ridevano, bevevano e correvano cantando. A sera non volevano tornare a casa e alla mamma riservavano piccoli dispiaceri quotidiani per costruire così un dolore sordo che la trasfigura.

mercoledì 9 aprile 2008

Il Comandante Cecchini

Il Cecchini ogni tanto appariva. Aveva una bella macchina. Sarà stata un milleequattro. Grigia lucente, le maniglie cromate come le rifiniture intorno ai fari e la mascherina. La parcheggiava vicino al fico ma non sotto. Era meglio scaldata al sole che appiccicosa. Il Cecchini scendeva e chiudeva lo sportello senza guardare basso. Anzi. La testa alta già salutava prima di avere tutti e due i piedi a terra.
“Ciao. C’è il tuo babbo ?”
“Si è di là” e indicavo la porta piccola del garage.
“Cosa ci fai con quella pistola in mano ? Chi te l’ha data ? Il tu babbo ? Non gli è bastata la guerra? Gioca con i libri, che è meglio”
Era elegante il Cecchini. Alto, due baffetti curati, il sorriso di chi ha dimestichezza con i soldi. Noi invece ci volevamo bene. Eravamo tutti ben tenuti ma senza alcuna dimestichezza con i soldi. Non c’erano, né se ne ragionava.
“Ciao, Rodolfo”
Il babbo s’era affacciato alla porta e con in mano uno staccio e un carburatore. Sorrideva.
“Ciao Comandante, come stai ? Come mai da questa parti ?”
“Senti un po’ questa macchina e dimmi se vale la pena comprarla. E al tuo figliolo compragli i libri, che con le pistole si combinano solo guai.”
“Si ma se non l’avessimo usate non ci sarebbero state nemmeno le orecchie per scrutare i motori. Le armi son armi. Lo dice la parola stessa. Il problema sono gli uomini. Un bel problema davvero. Hai sentito ? Vorrebbero parlare, vogliono la democrazia, ora. E i nostri anni di galera, niente? ..”
Intanto Rodolfo si avvicinava alla macchina e anch’io con loro, nel mezzo ai loro corpi e alle loro parole. Mi sembravano belli. Li sentivo amici. Mi sentivo al sicuro.
“Dai, Comandante, metti in moto”
Cofano aperto la testa infilata nel vano motore ed io di lato quasi sdraiato sul parafango anteriore sinistro, opposto a mio padre che toccando una levetta smanettava e faceva trillare il motore. Uno, due, tre, colpetti poi disse:
“Spengi.” Un passo, ancora due tocchi e chiuse il cofano.
“Dipende da quanto chiedono. Batteria al 60%, gomme altri 15.000 kilometri, motore a posto, carrozzeria buona e non direi che abbia avuto incidenti seri anche se riverniciata è riverniciata.”
“Sei un grande, Rodolfo.”
Poi si girarono verso la porta del garage e s’incamminarono. Mi trattenni un attimo con il rombo del motore e la scansione dei tocchi ancora negli orecchi e di fronte agli occhi la strada polverosa di campagna e l’auto che sfrecciava.
Il Cecchini mise una mano sulla spalla al mio babbo e le teste si avvicinarono e le voci si abbassarono
“Non parleranno Rodolfo, né torneranno. Son passati più di dieci anni. Quella è partita chiusa.”
“Non passa giorno che non ci provino, sono sempre più spavaldi e gli Americani e i Democristiani gli passano l’ossigeno. Potrebbero sempre tornare utili”
“Noi abbiamo fatto tutto quello che dovevamo e non siamo bestie, noi. Ora pensiamo a crescere i figli, ad allontanarci, senza dimenticare va bene, ma ad allontanarci. Ora non sono più il Comandante Cecchini e tu non sei più il Commissario politico, il comunista..ora io sono l’Architetto e tu sei un bravissimo meccanico, un onesto operaio. Noi stiamo costruendo un paese nuovo, libero e lo facciamo per loro..”
Ero di nuovo là in mezzo. Non capivo granché ma avevano detto che lo facevano per me. Questo mi piaceva. Avevano anche detto che avrei dovuto studiare e questo mi piaceva meno.
“Lo so, lo so. Tu comunista non eri. Ci hai guidato, hai avuto coraggio e io ti voglio bene. Ma tu comunista non eri e non lo puoi diventare, ora.”
“Va bene, lo diventerò più avanti.”
Ridevano e Il Comandante chiese di mia madre
“E Carla, come sta Carla.”
“Bene, bene. Vuoi fermarti a mangiare? Vedrai che da un momento all’altro arriva”
“Grazie, ho un impegno. Ma salutami la più bella ribelle della nostra compagnia. Uno di questi giorni torno e stiamo insieme.”
Il Comandante mi guardò, mi strappò di mano la pistola con un gesto rapido e fingendosi incattivito mi sparò due o tre colpi. Poi sorrise e ripeté
“Ci vogliono i libri, i libri..”
Aprì lo sportello, mise in moto, fece manovra e se ne andò.
Mio padre mi guardò e di botto mi chiese:
“Cosa leggi a scuola ?”
“Antologia, Storia, Matematica..” e nel frattempo mi allontanavo e tornavo con la mente più che alla guerra partigiana ai film western dei quali senza darlo a vedere vestivo le sembianze e imitavo le movenze.
Saremo stati nel 1955

lunedì 7 aprile 2008

Dichiarazione d'amore

Saranno da poco passete le dodici. Davanti, schierata: "la commissione". Dietro mia madre, mia figlia e mia moglie. Noi siamo vestiti bene. Senza esagerare ma bene. Anche loro indossano il rispetto che si deve avere in un' occasione come quella. L'aula vuota ha un pò d'eco. Anche il respiro ci suona nelle orecchie. Noi ci riconosciamo. Sono trascorsi trentacinque anni, forse qualcosa di più da quando disertavo le lezioni e frequentavo le riunioni. Tutto andava bene: dal volantinaggio alla fabbrica contro il cottimo, all'interruzione delle lezioni. Il sabotaggio degli esami. La scuola allora era certamente dei padroni, come i giornali e i governi di cui a mala pena sapevo il nome del Primo Ministro. Ora siamo educati, seduti, sembriamo "dipinti".

"Se me lo consentite vorrei anticipare la mia esposizione con una dichiarazione"

Mi guardano stupiti ma non più di tanto. Non c'è pericolo. Non si tratterà di una "rivendicazione" anche se a quella pensiamo tutti meno mia figlia. Ma resta l'imbarazzo in ognuno. Sembriamo in attesa di vedere di che cosa si tratti.

"Prima di esporre il mio lavoro mi sento di porgere a Voi, a queste mura, all'Istituzione Universitaria, all'Ateneo, le mie scuse. Il Professore nel presentarmi ha fatto cenno al mio passato di contestatore, ad una stagione della mia vita ormai lontana. Vorrei non rinnegare, vorrei anche non rammaricarmi. In quei giorni prendeva corpo, forma e sostanza una rivendicazione di cui un pò tutti siamo stati parte. Di alcuni di voi sono sicuro. Una stagione ricca. In queste aula circolava gente che non era prevista. Ecco per molti di noi non era nemmeno previsto rispettare quello che in queste aule aveva casa. Non tutti, ma io fui tra quelli che non vollero trarre profitto."

Il tutto si svolgeva con una naturalezza paziente. Non ci fu meraviglia per quelle parole nè si attendevano. Suonarono come il segno della croce di un calciatore prima di entrare in campo.

Sono fatto così. Non si fa finta di niente quando a sessant'anni, un paio di giorni dopo il compleanno ci troviamo uniti alla famiglia a conseguire la Laurea in Letteratura Italiana.

"Chiedo scusa."

"Bene, grazie." Disse timidamente il Presidente mentre gli altri mi guardavano senza esprimere partecipazione.

"Adesso vuole esporci il suo lavoro ?!"

" Certo, con piacere."

Parleronsi li omini di rimotissimi paesi l'uno all'altro e risponderonsi Un pensiero di Leonardo da Vinci espresso nel Codice Altlantico nei primi anni del 1500...