venerdì 27 giugno 2008

Il dubbio viene.

Non c'è niente da fare: il dubio viene. Ci sono momenti che resta soffocato, altri in cui ti trovi distratto. Ci sono impennate di presunzione, grumi d'orgoglio, comparazioni che paiono vantaggiose. Ma il dubbio viene.In fondo solo poco più di un pugno di decine d'anni fa, intorno a me, se una cosa c'era era la certezza. Eravamo certi d'essere persone perbene, lavoratori, attaccati alla famiglia, ai figli, alla loro educazione, alla trasmissione di valori a cui era stata dedicata la vita. Solo poco più di un pugno d'anni fa : padroni e preti da una partre; lavoratori, partigiani, garibaldini e poi comunisti dall'altra.
Nel mezzo la città. I quartieri, le macerie lasciate dalla guerra, le botteghe artigiane, gli spacci alimentari, il quadernetto nero chiuso da un elastico in cui allo spaccio annotavano il resto non riscosso su la spesa di ogni giorno in modo da accumulare un pò di risparmio che avremmo usato a Natale per mettere in tevola una bottiglia di spumante e una scatola di Ricciarelli. Nel mezzo tra noi e loro. Un pianerottolo e due porte. La nostra e di fronte quella della Signora Baldorilli che era la sposa giovane e in carne di un sottoufficiale dell'aviazione militare. Loro non votavano comunista nemmeno a parlarne eppure "buon giorno signora..", "..Buon giorno Signora". "Vittorio, fai il bravo, vai un pò a sentire la Signora Baldorilli se per caso c'ha un pò di sale da prestarci che l'ho finito. Poi quando esco lo compro e glielo rendo". Ed io un attimo dopo suonavo il campanello alla porta di fronte, su un pianerottolo lindo che pareva un salottino, che veniva mantenuto così dal turno di pulizia che le signore si erano divise e che naturalmente avevano rispettato con la rinomata precisione delle Guardie Svizzere. "Buon giorno Signora Baldorilli - dicevo - c'ha mica da prestarci un pochino di sale che dopo la mia mamma quando esce lo compra e glielo rende, per favore" " Ma certo, entra, entra" Ed io guardavo la casa che pareva uno specchio. La cucina in formica azzurrina era su per giù come la nostra ma la sala sembrava un film. Buia e lucente. Un tavolo ovale con il vetro e le sedie imbottite con la seduta rosso ruggine. Due specchiere un divano, una libreria e la radio, grossa, con il giradischi per sentire le romanze. Centrini e soprammobili. Poggiate sopra un vassoio, due bottiglie che parevano sculture, di vetro grosso e tappo quadrato in cui brillava un liquido che a guardarlo sembrava buonissimo. "Ecco quà, di alla mamma che non si proccupi, per un pò di sale".
Nel mezzo il nostro rione, ora diremmo il quartire. La casa del popolo e la parrocchia. Chi andava a catechismo, poi giocava a ping pong. Era difficile che quello famiglie ci dessero il voto. Noi alla casa del popolo si ballava con la musica di un Jukebox, ma tra maschi. Il sabato sera i grandi ballavano con le ragazze e noi sempre tra maschi.

In linea di massima era tutto chiaro. Noi avremmo dovuto studiare e i genitori lavorare sodo. Senza tante storie, passo dietro passo. Sapendo che quello era il percorso da compiere, che un giorno, ormai non lontano, l'Italia sarebbe stata dei Lavoratori. Governata dal Partito Comunista di Palmiro Togliatti ed anche loro, uno alla volta, compresa la Signora Baldorilli e suo marito il Maresciallo Maggiore avrebbero votato, magari senza dirlo, per il Partito Comunista Italiano.

Cosa che non accadde mai, ma a tutti noi non mancò niente. A parte il fatto che a me i Jeans originali americani, i Lee, non me li comprarono mai. Se volevo c'erano i Reefle, quelli che non scolorivano, se no niente. Ma che conta, che importa. Quello era il particolare che non va mai confuso con il generale. Alcuni con i Jeans che scolorivano ed io unico a cui non scolorirono mai potemmo conservare le nostre differenze, arricchirle, disegnarle. Potemmo occupare quella terra di mezzo che era la citta, le piazze, le strade, le scuole, con i nostri canti e le nostre intenzioni. A volte festose, altre più cupe e indispettite.

Il tempo vola e quello che vedemmo passare, non va detto per amor del rimpianto, era davvero un gran tempo. Gli uomini e le loro consorti erano usciti dalla guerra riempendo le corti di marmocchi ai quali dedicarono, più che l'attenzione, l'immaginazione. "A scuola, a scuola...a lavorare ci si pensa noi" quando lo dicevano non ti guardavano nemmeno. Non volevano mica convincere. Lo dicevano per se.

Il dubbio, viene. Anche allora e negli anni a seguire. Quando si andava a votare era dura. Anche allora, qui da noi si vinceva ma in Italia, nel paese vincevano i preti e dietro a questi i padroni. Erano di più. Erano di più le monache delle mondine, i parroci dei minatori, i padroni degli operai. Da non credere.

Via San Lorenzo si chiudeva a T. A destra, a pochi metri la Questura: " sui muri della Questura c'era scritto in rosso, la rivolta è orami vicina/ La polizia ha arrestato un paio di pennelli, ma sono scappati anche questa volta un gruppetto di ribelli " . A sinistra, dopo aver scorso il muro di una bella fabbrica, si trovava Porta San Zeno. In quella fabbrica lavoravano tante donne. Era la Marzotto, ottocento operai. Ottocento famiglie operaie che nel giro di pochi mesi si trovarono in mezzo alla strada. Insieme a loro, i nostri canti e i nostri cortei ma la Marzotto restò chiusa ed ora è la sede della segreteria della Università degli Studi. Spariti. Spariti come gli operai della Vis, della Fiat di Marina, della Piaggio, del Pennellificio Toscano. Migliaia di famiglie che restano e cambiano. Una volta ci mettemmo a contarli, avremmo voluto raccontarli. Fabio ne intervistò per ore ed ore di nastro. Nessun dramma, il terziario e l'Università avevano ammortizzato il colpo. Noi eravamo cresciuti, appesantiti e trasformati. Tutto sotto gli occhi, tutto come sabbia che corre via dalla mano. Tutto, e il dubbio viene e rimane.

Abbiamo nuotato per anni come pesci nell'acqua. Zelig, Fregoli, Bustric non sapevano far meglio. Tu disoccupato ? Disoccupato anch'io. Tu soldato ? soldato anch'io. Tu carcerato ? Carcerato anch'io. Ma anche tu sardo ? sardo anch'io. Tu Siciliano ? Siciliano anch'io. Come pesci nell'acqua: identici ! E' così che si faceva "un mondo di fratelli", altro che canzoni.

Conobbi Ciuzzo ad Agrigento. Aspettava sulla soglia del Centro Sociale. Dal continente arrivavano due compagni del Movimento. Due che erano scesi per restare, per costruire insieme l'organizzazione per le lotte di tutti i picciotti. Ma non ho voglia di parlare di quell'esperienza come di un'esperienza politica. Non ho voglia nemmeno di ricordare le parole del nostro viaggio a Sud. Per me poi, non era nemmeno sud. Era più in là.
Ciuzzo Abela da Gela. Studente Medio, frequentava poco e svogliatamente le Scuole superiori, mi pare l'Istituto Tecnico Industriale, chimico. E', certo. A
Gela l'Anic aveva impiantato il petrolchimico e di li a poco era nato un quartire residenziale dove viveno i tecnici. Tutt'intorno una campagna bruciata dal sole, silenzio rotto dallo zillare delle cavallette. Gela, capirò, non era la città più brutta d'Italia. Era il luogo più stupito che abbia mai visto. Lo stupore fu reciproco e immediato, come la simpatia, la fiducia e l'amicizia. Profonda, generosa, naturale, immediata. Ciuzzo era moro, alto. Le guance coperte da una lucente barba nera e occhi vispi e voce forte e versatile, ma bassa e profonda. Sette fratelli maschi, padre e madre. Si arrangiavano producendo e vendendo prodotti chimici. Saponi e detersivi per lavare auto e superfici. L'importante era che i figli studiassero. Prendessero un titolo, si mettessero al riparo dalla paura di una povertà sempre pronta a prendere il sospravvento. Mi trattenni con loro a lungo. Insieme a dire no. No ai sindacati, ai partiti, alla chiesa, ai notabili. No. Mi trattenni a lungo ad ascoltare la storia di poeti e naviganti. Di fratelli che non sarebbero più tornati. Di morose che non potevano essere guardate, nemmeno pensate. I destini erano segnati. In più Ciuzzo aveva una malattia che pareva una fortuna. Zoppicava ma era veloce. Aveva due mani enormi e un viso della bellezza di un Cristo. Parlava ai suoi con voce calma e raccontava che Gela avrebbe potuto essere bella. Con la sua marina e la sua campagna. Quello che guastava era lo sfruttamento. Era quel prendere senza chiedere. Era che l'Anic faceva stare bene e sperare solo quei pochi e non tutti siciliani. A Gela c'erano anche i sardi. Ma agli altri, ai meschini, cosa prometteva ? Cosa dava ? Lavoro precario, rischi e fatica. Tanta fatica e rischi che puntualmente facevano suonare le campane della chiesa centrale.
Il lavoro non c'era e il reclutamento era una feroce costruzione d'inimicizia. Emigrazione e rimesse. Case che al posto del tetto avevano i ferri per le camere della sposa appena fossero arrivati dei soldi dalla Germania. Gela era stupita che qualcuno si fermasse a parlare. Che ascoltasse la loro voce e che raccontasse dei fratelli del nord. A pensarci quello che passò fu un venticello che lì per lì rinfresca un poco l'aria e lascia che il dubbio poi si faccia strada da solo. Era come se avessi fatto una corsa impegnando le forze che avevo senza tener conto della respirazione necessaria, del dosaggio e rimasi in mezzo al guado. Battuto mi ritirai. Pochi mesi e mi nacque il primo figlio, pochi mesi e arrangiai qualche lavoro, pochi mesi e sentii suonare alla porta. Andai ad aprire. Era Ciuzzo. Si iscrisse alla quinta dell'Istituto Tecnico Industriale della mia città. Viveva a casa con noi. Cullava e ninnava mio figlio con quella sua voce bassa e melodica e il giorno di un compleanno, dopo una buona mangiata e uno robusta bevuta, mentre giocavamo a ping pong, si accasciò e mori tra le mie braccia.
Io lo accompagnai a Gela. La chiesa centrale lasciò che entrasse la bara accarezzata dalle sue bandiere. Tutta la città aveva il cappello in mano. Il suo tempo era finito e anche quello dello stupore si mostrava rassegnato.

Un salto. Fanne un altro. Sono trascorsi trentasei anni. A Gela c'è un sindaco battagliero. Saro Crocetta. C'era già anche ai nostri tempi. Era un picciotto del '51 e gironzolava intorno. Non ho ricordi, mi resta solo il nome e la sua dichiarazione pubblica di omosessualità. Forte. Nella mia stagione a Gela le giornate si dividevano tra studenti medi in sciopero, operai dell'Anic in riunione, disoccupati al collocamento, la sede, il ciclostile, la competizione con quelli di Potere Operaio che ramazzavano costruendo un vicolo tra lotta di popolo e lotta del partito armato. Un continuo ammiccamento ai miei che invece mi tenevo ben stretti. Però erano più belli loro. Alti, atleticamente prestanti e accompagnati da donne misteriose e attraenti. Donne che si lasciavano sognare. Parlavano nei capanneli ma non erano brave ai fornelli e anche l'ordine in casa era quello che era. Noi eravamo più bravi sia ai fornelli che con la granata. E' certo. Eravamo più bravi. Ma a volte mi prendeva una voglia di tenerezza che non stavo in piedi. Beati loro, pensavo. Mi giravo e affogavo tutto nel sonno. Una sera, anzi era notte fonda, tornavo da Siracusa dove si era svolta una riunione non so più su che, perchè, con chi, imboccai una curva che si apriva sull'ultima discesa prima di abbandonare l'asfalto e inabissarsi nel quartiere senza strade e senza fogne dove avevo affittato un bellissimo appartamento a tetto da cui vedevo il mare e le luci del petrolchimico con cui a volte ragionavo. La notte non era buia, era grigia, calda. Tutto serrato, russava, e si potevano cogliere gli sbadigli dei gatti e il passo rassegnato dei cani randagi. Da una porta una luce invadeva il piccolo marciapiede e da una tenda composta da fili di simil corallo una gamba faceva capolino. No ?! Sobbalzai alla guida. Una puttana a due passi dall'arrivo. A due passi da quella rassegnata solitudine c'era una puttana. Un miraggio ? Un miracolo ? Comunque un cambiamento. Una epifania ! Accostai la cinquecento al marciapiede. Mi guardai intorno. Il capo dei picciotti che vogliono fare la rivoluzione imbucarsi con una puttana non era proprio un granchè di notizia. Ma l'ora era tale. Scesi attraversai la strada come se non fossi io ed entrai. Sulla sedia dietro la porta un uomo piccolo portava la coppola e teneva lo sguardo basso. Appena varcata la soglia si alzò e uscì. In fondo alla stanza in piedi davanti al letto un uomo mal travestito con la gamba colpevole ancora bene in vista. No! No! NOOO! Uscii senza correre, salii in macchina e me ne andai mentre alle spalle sentii soltanto: "Aspetta". Quella notte faticai un pò di più a prendere sonno.

Anni luce, fisionomia dispersa. Le cose stanno insieme, si parlano ma non aspettano la risposta. Convivono come i separati in casa. Gli episodi si guardano in cagnesco e il dubbio viene.




(continua)

domenica 1 giugno 2008

ESSAOUIRA

A sud. A sud di Marrakesch si va quasi per noia. Un po di idee che conserviamo da sempre, il tempo che si lascia pensare. Non passa più come una volta, rapido, incosciente.Poi la speranza di intravedere. Comunque un pretesto per una navigazione in assetto solitario. Mi piace stare solo e lo faccio con vecchie compagnie. Vado a trovare un amico che non frequento da anni. Che partì e che non torna. Lui vive ad Essaouira.

A Essaouira ci è arrivata un po di gente che non si è più mossa. C'è il sole - splendente, luminoso; c'è l'aria, fresca. Il vento spesso la fa gelida. Scompone i capelli e scuote il velo delle donne. Non da tregua il vento e il sole brucia. La terra delle vele. Oggi degli amanti della "tavola" che vola e volteggia. Una piccola città, ottantamila abitanti, con un porto che pare uscito da un racconto e una medina che è un concentrato di storie perse. Basta tendere l'orecchio.

"Nella barca qua di fronte c'è un pesce nuovo" ci dice un ragazzo. Un pesce nuovo ? Si un pesce grande, nero, lungo tutta la barca. Lo hanno preso ad una profondità di cinquecento metri. Nessuno lo conosce. Poi cambia discorso. Il fegato degli squali lo pagano venticinque euro il klogrammo. Lo usano per fare medicine.

I colori, il passo dei viandanti,i costumi, quel modo di parlarsi quasi negli orecchi o aperti a capannelli vocianti. La città araba è ormai ampiamente descritta, visitata, percorsa da foto che non salvano niente e forse nemmeno vedono e da descrizioni e ambientazioni di vicende. Io cammino qui in mezzo con in mano il paragone. Uno strumento complesso che misura il confronto. Spero che siate gentili e non pensiate a tragitti brevi tra le abitudini. Lo sguardo è rapito prima di tutto dalla vitalità e dalla bellezza dei personaggi di questa storia, di questo luogo che sembra non aver cura di te che lo guardi. Sembra, perché così non è più, ma così è stato e stando fermi si intravede ancora bene ciò che sta andandosene in fretta.

Loro e noi. Lo diceva bene ieri sera un amico di qui, Raschid. Per strada avevamo incontrato una francesina carina e affabile che lavora alla Associazione franco-marocchina. "Stasera c'è un'iniziativa culturale.." aveva detto. "Una lettura che ha per oggetto il sesso.." Il sesso ? Ridiamo e scherziamo. Più tardi ci arriva via telefono l'invito. Raschid che tiene alle buone maniere e alle buone relazioni accetta. Noi lo prendiamo un po in giro. Lui è giovane e carino ed anche la francesina è carina e tutto si presta al gioco. Noi scegliamo un ristorante al porto e Rascid va.

Loro e noi. "Per loro va bene, per noi è troppo, troppo. Alcuni marocchini hanno lasciato la sala. Io no, ma non va bene. Tutto, dicevano tutto. Come si prende il pisellino..come ci si tocca se si vuol fare da soli..troppo. Per loro va bene, in Europa, si sa. Da noi no, no." Lo diceva ridendo, con un pudore che tra uomini non ho incontrato facilmente ma che so esistere anche dietro il nostro dire sboccato.

La Medina è un universo dove convivono l'agio e l'abbondono. L'agio dietro la soglia, l'abbandono sdraiato sulla soglia. Le due cose sono assolutamente naturali. L'una scavalca l'altra. La carità è diffusa e qui pare più spigolatura che carità.Le gocce di un'acqua da anfora colma. Si tiene con il paesaggio. Non c'è un gran traffico di auto. Gli asini e i cammelli viaggiano con i loro passi cadenzati e quel dondolare mansueto. Nella Medina hanno preso campo i motorini, ma i barrocci a traina umana fanno il lavoro duro. I bambini giocano nei vicoli e non sono aggressivi. Se ti spingi nella tela puoi perderti e non corri alcun pericolo. Di giorno e di notte. Vengono in mente i grandi problemi, comprese le ridondanze psicologiche, che si vivono a casa nostra. In ogni vicolo c'è un signore che oltre al suo lavoro fa la spia. Guarda e racconta, riferisce e a volte interviene. Rivolgersi a lui costa poco più di una mancia e il caso è sottoposto ad osservazione e nel caso ad un intervento. Mi fa pensare che in fondo qualcuno che s'impicci negli affari degli altri potrebbe risultare utile. Certo c'è il pericolo che questo qualcuno profitti, sia cattivo e allora sono guai. Qui sento spesso, nel normale conversare, la definizione di buono o di cattivo applicato alle persone. Infatti noi pensiamo solo raramente che ci siano anche un pò di uomini cattivi e siamo portati a considerare stupidi o incapaci coloro che in fondo sono solo cattivi.

Immaginiamo un tempo. Non tanto tempo fa. Quando il sogno visionario - un po per le botte ricevute e un po perchè, se Dio vuole, anche gli eroi invecchiano e capita pure che muoiano - quando il sogno visionario, dicevo, mostrava un restringimento del campo d'azione, molti guardarono l'orizzonte. C'è stato chi ha costruito un traghetto in indonesia, chi a aperto un ristorante a Goa, chi ha conquistato Berlino e chi si è inabissato a Essaouira. Venti, quindici, dieci anni fa. Fecero capolino qui. Jim Hendrix vi prese casa. C'è chi dice che non ci sia mai venuto ma sulla sinistra del golfo si vede il castello, la fortezza che utilizzò per comporre e dove ospitò gli amici di una comunità Hippy. Vero o non vero l'aria che respirarono è quella. Un presepe accogliente dove con una piccola rendita si poteva non fare niente. Niente. Il cibo squisito. La frutta e la verdura. Gli abiti informali e colorati. Il fumo. La lontananza. Per arrivare ad Essaouira ancora oggi occorrono due ore e mezzo di pulman o di macchina dall'aereoporto di Marrakesch. Da Essaouira non ci si passa. Ci si va. In quel niente si nascondevano il coraggio residuo e la paura che non aveva mai lasciato il campo. I nostri amici si sono arrangiati e di cosa in cosa ora sono ben piazzati. Maison d'hautes, ristoranti, scultura, musica, scrittura. Chissa che un giorno.