mercoledì 21 maggio 2008

Falshback

In piazza Dante, con alla porta accanto la bottega di un sarto, uno sportello tutto vetro e una piccola porta laccata verde. Sulla porta era scritta l'insegna con un carattere senza grazie, bold, bianco : Libreria Internazionalista Frantz Fanon. Era un'invenzione nostra, mia e di Paolo. Ero stato io che avevo trascorso un periodo a Parigi dando mano, in Rue Git le Coeur, alla Librairie Git le coeur dell' Union de la Jeunesse marxiste-leniniste e che, tornato in Italia, mi sono industriato con Paolo a ricostruire.

Roberto Mariani, un architetto che un giorno prenderà la laurea ma che ancora brusco e meraviglioso giovanotto mi aveva introdotto al gusto e alla bellezza, la disegnò. Era un buchetto. Tre metri per cinque e un interessante retro bottega chiuso da una porta scorrevole.

L'idea, lo dice il nome, era quella di vendere letteratura e saggi delle colonie: Francesi, Portoghesi,Inglesi. L'idea era quella di documentare la rivolta anti imperialista contro gli Stati Uniti d'America a cui naturalmente si univano le lotte degli afroamericani contro l'apartheid e le discriminazioni razziali. Quindi Asia, Africa e America Latina. Un bell'ambientino, dunque.

Erano gli anni di Stokely Carmichael (1941-1998) il leader dello Student nonviolent coordinating commitee (SNCC), di Rudi Dutschke - Rudi il rosso, leader del SDS in Germania, di Daniel Cohn Bendit e della nostra incontenibile voglia di vivere.

La libreria ci dava da fare. Non avevamo una lira e i libri in conto deposito si univano alle pubblicazioni in lingua estera dell'ambasciata Cinese, a quelle del Vietnam del Nord, ai vari quaderni e pubblicazioni delle Edizioni Oriente, del Partito Comunista Marxista Leninista. Avevamo i Quaderni Piacentini, Nuovo Impegno, Giovane Critica. I Quaderni Rossi e Panzieri erano già passati e si coglievano gli ultimi sprazzi di Franco Fortini.

"Hanno fatto un deserto e lo hanno chiamato pace (Tacito)" lo slogan di una manifestazione che si svolse a Firenze e di cui Fortini fu oratore: "impiantano commerci commerciando impianti".

Anche il Gruppo 63 era sbiadito ma andava ancora forte Ombre Rosse e la durezza di Goffredo Fofi.

L'incasso era quello che era e andava difeso con mano decisa da ogni tipo di emergenza: il panino, il viaggio, la riunione a Torino. Prestami i soldi per la benzina. La cassa andava difesa ma non si sapeva a chi spettasse il compito. Comunque la cosa si reggeva e mio padre sapeva dove trascorrevo il mio tempo: uno dei posti più pericolosi possibili.

Infatti il '68 non aveva ancora preso bene il via che fui arrestato.

Ogni giorno una manifestazione, ogni giorno una segnalazione. Dopo passava un questurino e consegnava la convocazione. Quasi sempre era per le ore 18. In questura per essere sentito su fatti che "lo riguardano". E', se "lo riguardano". A voler essere precisi ci sarebbe stato da andare dentro anche per gli sfottò che toccavano al brigadiere che eseguiva la consegna ma ormai pareva tutto un gioco e se ti convocavano, poi, avevi più cose da raccontare.

Alle 18 la solita tiritera: a domanda risponde (ADR). Non c'era un granchè di domanda, figurarsi la risposta.

Letto, approvato e sottoscritto. Una firma e posso andare.

La stanza si univa al corridoio con una porta a vetri. Vetro grosso lavorato, in trasparenza lasciava intravedere la sagoma. Aprii la porta e l'uomo mi disse: "Guelfo Guelfi ?" Si, risposi ma non ci fu silenzio, né stupore. "C'è un mandato di cattura da eseguire".
E che vuol dire ? Son prigioniero ? Si va in galera ? Ma non mi agitai. Trovavo la cosa ridicola soprattutto perchè si esprimeva con un tono bonario. Ma state attenti, era davvero bonario.

Posso telefonare? No, ci pensiamo noi. Allora andiamo ? Si, certo andiamo. Ma la mia macchina che faccio, la lascio qui ? Se vuoi portala al carcere, la chiudi e poi qualcuno verrà a prendere le chiavi. Bene, andiamo. Io salii sulla mia Diane rossa e loro in due sulla volante. La strada la conoscevamo tutti bene ed era e rimane vicino il carcere alla questura. Così guidando piano piano, facendo si che si vedesse bene la mia non intenzione di fuga scorrevo la via verso il Don Bosco.

Guardavo intorno e avevo come la sensazione di un "addio ai monti", ai luoghi cari, ai volti amici, al mio tempo. Avrei anche voluto avvertire che nel mandato di cattura c'erano due nomi, il mio e quello di Marco Moraccini, uno studente di Cecina. Magari se non lo avevano ancora preso si sarebbe dato alla macchia. Ma niente. Solo poche curve e il parcheggio davanti al carcere. Chiusi la macchina, attraversai la strada. I due angeli custodi mi guardavano con un fare sciatto, routine, ed entrammo. Prima "ferrata". Era quasi sera e faceva freddino. Meno male che avevo il cappotto.

Una sosta all'ufficio matricola.

- Chi è ?
- Uno studente.
- Ci mancavano solo loro -

disse una guardia anziana da dietro un banco alto come quello che si trovava all'ufficio del catasto dove a volte ero andato a rilevare qualche mappa.
Perché io sono geometra - Istituto Tecnico A. Pacinotti, Preside il Prof. Malacarne ( per noi: cicciaccia), un mito - e appena diplomato avevo fatto un periodo di libera professione. Ero stato sui cantieri delle opere di captazione delle sorgenti per la costruzione dell'acquedotto dei comuni di Riparbella , Montescudaio, Castellina Marittima e se non sbaglio, Guardistallo. Che pace, che pacchia, che mangiate, tra i boschi. Ma torniamo all'Ufficio matricola del carcero Don Bosco.

- Come ti chiami ?
- Guelfo Guelfi.

La guardia anziana, credo fosse un brigadiere, aveva tutti i capelli bianchi, ne aveva tanti, difficile tenerli composti, alzò gli occhi su di me e si avvicinò. Rimase però dietro il bancone.

- Sei mica parente di quel Guelfi, zoppo, che fa la Scuola Guida ?
- Certo, è mio padre.
- Ah, ecco perché, qui è registrato anche lui. Deve essere lassù.

Con lo sguardo indicò l'ultimo ripiano di un vecchio scaffale che riempiva la parete di fondo.

- Quando sei nato ?
- Il 13 ottobre del 1945.

"Il comunismo è come la sifilide, si trasmette di padre in figlio" la battuta è recitata da Gian Maria Volonté nel film "Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto" di Elio Petri. Il film è del '70 e quindi il brigadiere non la pronunciò. Comunque ci stava. Quando vidi il film la frase mi prese non quanto la scena madre con Florinda Bolkan. La scena mi turbò, la frase mi sorprese.

La cella, in isolamento, era a piano terra. Le ferrate si chiusero a più mandate. La branda era incernierata al muro. Un letto a sbalzo. Il cesso e il lavandino erano la stessa cosa. Per cacare si abbassava il ferro. Sopra una fonte. La finestra era alta e non chiudeva bene. Uno spiffero freddo era pronto a farmi compagnia. Beh, ci siamo. Adesso aspettiamo che passi. Mi guardai intorno e non si affacciò nessuno spettro. Non mi agitavano oscuri pensieri. Mi sentivo al sicuro. Il freddo mi fece entrare un mal di testa che si placava solo rinserrandomi dentro il cappotto. Mi sdraiai, mi rannicchiai e cercai il sonno che non si fece attendere. Si aprirono così i miei trenta giorni di prigionia. Un'inezia che volò in compagnia di storie che parevano inventate. Invece erano vere.

La presenza di mio padre si face sentire perché la vita è fatta così. Mette insieme le cose distanti, figuriamoci quelle di un figlio che fa finta di esser suo padre. Superata la fase in isolamento che durò due giorni, una volta interrogato dal giudice istruttore, fui unito a Marco che era stato arrestato la mattina dopo, e a Leonardo Stano, che era sopraggiunto insieme ad altri otto catturati durante la manifestazione di protesta per il nostro arresto. Avevo sentito il trambusto e avevo saputo degli scontri. Quella deve essere stata proprio una bella manifestazione ed io non c'ero. Anzi ero nel coro, nelle scritte sui muri.

Seppi di Paolo che aveva tirato tre pietre con una mano sola, danneggiando la nostra retrovia. Seppi della Brigata Valle Giulia che aveva usato come base logistica per il proprio armamentario il retrobottega della libreria Internazionalista Franz Fanon (caschi da muratore bianchi e bastoni). Seppi del blocco della stazione centrale. Seppi che avevano cercato di farla grossa e in molti avevano debuttato negli scontri. Gli studenti menavano con soddisfazione. Non era ancora Maggio, ci fu la prima prova di coraggio.

"Anche se il nostro Maggio a fatto a meno del vostro coraggio/Anche sa la paura di guardare vi ha fatto abbassare il mento/ Anche se il nostro fuoco ha danneggiato la vostra mille e cento/ Anche se non ve ne siete accorti/ Siete lo stesso coinvolti.."

Sono trascorsi molti anni e quella manifestazione continua a offrire rivelazioni. Una è talmente gustosa che non posso trascurarla: Massimo D'Alema, che nel momento in cui scrivo è Ministro degli esteri di un governo caduto e battuto - la cosa non mi fa alcun piacere visto che a cadere è stato il "mio" governo -, Massimo D'Alema lanciò la sua prima e unica bomba molotov proprio negli scontri tra studenti e polizia, alla stazione centrale di Pisa dove allora era studente e dirigente dei giovani comunisti. Ho provato a chiedere, ho fatto alcune telefonate e di quella coppia di apprendisti guerriglieri ( D'Alema, Mussi) non ricorda nessuno. Ma aimè ero in altro luogo, non posso che immaginare e son portato a credere. Se Massimo lo ha detto vuole dire che è vero. Che interesse avrebbe a dire una cosa per un'altra ?

Ma dicevo di mio padre. Una volta inseriti tra i comuni detenuti, quasi tutti in attesa di giudizio definitivo o condannati a piccole pene, ognuno di noi ha dovuto misurarsi con quella realtà. Niente di più facile. Gli scontri in onore di Marco e di me stesso, erano un meraviglioso viatico. Stringemmo mani, scambiammo sorrisi aperti direi con tutti. Il Giannetti era, credo, un uomo intorno alla sessantina. Magro come un chiodo, un po piegato in avanti, quasi sempre ubriaco, portatore disinvolto di cirrosi epatica. L'ora d'aria, mi pare di ricordare, finisse alle 15. Da quel momento e fino alla mattina successiva rimanevamo chiusi in cella. Anche il Giannetti mi aveva chiesto se fossi parente di Rodolfo ed anche a lui risposi di si, che era mio padre. Mi abbracciò e mi baciò. Mi smoccicò un bel po.

- Prendi il vino della razione - mi raccomandò
- poi prima che chiudano le celle passo da te e me lo dai, va bene ?
- Va bene, gli risposi.

E così fu. Giannetti non solo ebbe la mia razione ma anche quella dei miei compagni riuscendo così a collezionare cinque o sei bicchieri di un vino rosso che solo allo sguardo pareva impossibile. Lui, chiuso, se lo beveva e dopo cominciava:
"Guelfino, chiamava, io e il tu babbo si che gliela facevamo pagare a queste merde fasciste. Pum, Pum. Altro ché. A queste maschere luride pagate al soldo di questa società malmessa. Su questo mastodontico palcoscenioco di pirateria" Questa la litania che ripeteva urlando per un pò. Finche tra le urla di tutti gli altri smetteva. Non perché ricondotto a ragione, piuttosto perché aveva finito la forza ed era crollato nel sonno.

Una volta fuori, ero in libreria, me lo vidi apparire: abbracci e baci mocciosi. Lo aiutai per quanto potevo. Giannetti non aveva nessuno e finiva sempre che se non era un giorno sarebbe stato un altro ma tirava una sedia dentro una vetrine e tornava al Don Bosco quando non finiva al manicomio criminale di Volterra.

Poi un giorno s'affacciò uno e mi disse. Il Giannetti è morto. Pace all'anima sua. Aveva lasciato per sempre il "mastodontico palcoscenico di pirateria".

lunedì 5 maggio 2008

Son più di quaranta

La festa era talmente allegra,
parole grosse si scioglievano in giochi,
l'acqua della fontana, la notte, era più limpida,
nostra.

Le ombre, dipinte, salutavano,
ascoltavano storie che non c'erano,
e ognuno riandava senza conoscere la noia,
stava.

Cose da maschi, il territorio palmo a palmo,
cose da morire ridendo, cantando,
di tanto in tanto,
un urlo.

Il prezzo all'improvviso era saldato
il resto non veniva mai raccolto
né conservato,
erano ore notturne.

La festa era talmente allegra
che l'invidia l'avvolse o la scemenza,
si uscì senza dir niente,
qualcuno aveva cambiato la musica.

Vieni, ti aspettano,
ma è presto,
nient'affatto è già accaduto
tutto.

Sulle spallette la fiaba
si è fatta romanzo
ora procede lontana
la faccia mesta.

sabato 3 maggio 2008

A proposito di voti andati di traverso

"Che cosa voglion dir quegli occhi tristi ?

"Io son di chiesa e voto i socialisti."

"Se c'è un Dio, se c'è un Paradiso,
Luciano, tuo fratello, Lui ci andrà.
Lui che non crede, Lui non va alla messa
è socialista e questo cosa fa.."

Nel mio giardino, in questa stagione, è intenso il canto degli uccelli.
Poco fa ho riconosciuto un motivo di tanti anni fa.
Parlava del 18 Aprile del 1948.

Se il Paradiso ci attende
la condizione è ottima:

Il paradiso può attendere !