mercoledì 9 aprile 2008

Il Comandante Cecchini

Il Cecchini ogni tanto appariva. Aveva una bella macchina. Sarà stata un milleequattro. Grigia lucente, le maniglie cromate come le rifiniture intorno ai fari e la mascherina. La parcheggiava vicino al fico ma non sotto. Era meglio scaldata al sole che appiccicosa. Il Cecchini scendeva e chiudeva lo sportello senza guardare basso. Anzi. La testa alta già salutava prima di avere tutti e due i piedi a terra.
“Ciao. C’è il tuo babbo ?”
“Si è di là” e indicavo la porta piccola del garage.
“Cosa ci fai con quella pistola in mano ? Chi te l’ha data ? Il tu babbo ? Non gli è bastata la guerra? Gioca con i libri, che è meglio”
Era elegante il Cecchini. Alto, due baffetti curati, il sorriso di chi ha dimestichezza con i soldi. Noi invece ci volevamo bene. Eravamo tutti ben tenuti ma senza alcuna dimestichezza con i soldi. Non c’erano, né se ne ragionava.
“Ciao, Rodolfo”
Il babbo s’era affacciato alla porta e con in mano uno staccio e un carburatore. Sorrideva.
“Ciao Comandante, come stai ? Come mai da questa parti ?”
“Senti un po’ questa macchina e dimmi se vale la pena comprarla. E al tuo figliolo compragli i libri, che con le pistole si combinano solo guai.”
“Si ma se non l’avessimo usate non ci sarebbero state nemmeno le orecchie per scrutare i motori. Le armi son armi. Lo dice la parola stessa. Il problema sono gli uomini. Un bel problema davvero. Hai sentito ? Vorrebbero parlare, vogliono la democrazia, ora. E i nostri anni di galera, niente? ..”
Intanto Rodolfo si avvicinava alla macchina e anch’io con loro, nel mezzo ai loro corpi e alle loro parole. Mi sembravano belli. Li sentivo amici. Mi sentivo al sicuro.
“Dai, Comandante, metti in moto”
Cofano aperto la testa infilata nel vano motore ed io di lato quasi sdraiato sul parafango anteriore sinistro, opposto a mio padre che toccando una levetta smanettava e faceva trillare il motore. Uno, due, tre, colpetti poi disse:
“Spengi.” Un passo, ancora due tocchi e chiuse il cofano.
“Dipende da quanto chiedono. Batteria al 60%, gomme altri 15.000 kilometri, motore a posto, carrozzeria buona e non direi che abbia avuto incidenti seri anche se riverniciata è riverniciata.”
“Sei un grande, Rodolfo.”
Poi si girarono verso la porta del garage e s’incamminarono. Mi trattenni un attimo con il rombo del motore e la scansione dei tocchi ancora negli orecchi e di fronte agli occhi la strada polverosa di campagna e l’auto che sfrecciava.
Il Cecchini mise una mano sulla spalla al mio babbo e le teste si avvicinarono e le voci si abbassarono
“Non parleranno Rodolfo, né torneranno. Son passati più di dieci anni. Quella è partita chiusa.”
“Non passa giorno che non ci provino, sono sempre più spavaldi e gli Americani e i Democristiani gli passano l’ossigeno. Potrebbero sempre tornare utili”
“Noi abbiamo fatto tutto quello che dovevamo e non siamo bestie, noi. Ora pensiamo a crescere i figli, ad allontanarci, senza dimenticare va bene, ma ad allontanarci. Ora non sono più il Comandante Cecchini e tu non sei più il Commissario politico, il comunista..ora io sono l’Architetto e tu sei un bravissimo meccanico, un onesto operaio. Noi stiamo costruendo un paese nuovo, libero e lo facciamo per loro..”
Ero di nuovo là in mezzo. Non capivo granché ma avevano detto che lo facevano per me. Questo mi piaceva. Avevano anche detto che avrei dovuto studiare e questo mi piaceva meno.
“Lo so, lo so. Tu comunista non eri. Ci hai guidato, hai avuto coraggio e io ti voglio bene. Ma tu comunista non eri e non lo puoi diventare, ora.”
“Va bene, lo diventerò più avanti.”
Ridevano e Il Comandante chiese di mia madre
“E Carla, come sta Carla.”
“Bene, bene. Vuoi fermarti a mangiare? Vedrai che da un momento all’altro arriva”
“Grazie, ho un impegno. Ma salutami la più bella ribelle della nostra compagnia. Uno di questi giorni torno e stiamo insieme.”
Il Comandante mi guardò, mi strappò di mano la pistola con un gesto rapido e fingendosi incattivito mi sparò due o tre colpi. Poi sorrise e ripeté
“Ci vogliono i libri, i libri..”
Aprì lo sportello, mise in moto, fece manovra e se ne andò.
Mio padre mi guardò e di botto mi chiese:
“Cosa leggi a scuola ?”
“Antologia, Storia, Matematica..” e nel frattempo mi allontanavo e tornavo con la mente più che alla guerra partigiana ai film western dei quali senza darlo a vedere vestivo le sembianze e imitavo le movenze.
Saremo stati nel 1955

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