tag:blogger.com,1999:blog-42595147534596315622024-02-08T17:26:53.896+00:00Cyrano de BergeracIncanto e disincanto nel diario dei nostri giorni. Avete presente la cronaca ? Vi sentite stretti nel coro delle informazioni ? Abbiamo, speriamo voglia di raccontare altro, nostro, autentico ? Bhe, proviamo !Ciranohttp://www.blogger.com/profile/03455422693744274694noreply@blogger.comBlogger46125tag:blogger.com,1999:blog-4259514753459631562.post-9551278298547900182010-12-20T15:09:00.006+00:002010-12-27T14:11:15.496+00:00VENERDì 17, DICEMBRE 2010Ci sono date che sono fatte apposta per cominciare un racconto. Ce l'hanno in se la storia. Non passa liscia. Al massimo inosservata. Ma qualcuno la sa e la custodisce per la prima occasione utile. Per una bella storia occorrono orecchie sensibili, disponibilità d'animo. Una curiosità si coglie e poi si colleziona.Lo spazio di una storia può essere un tempo, un luogo, una ragione, un sogno, un desiderio, una combinazione. Una qualsiasi di queste cose può dar vita ad un racconto indimenticabile sempre che trovi l'innesto. Venerdì 17, dicembre 2010 può fare da innesto ? Vediamo.<br /><br />La nevicata abbondante era stata annunciata e la previsione passava di bocca in bocca modulata su toni che tradivano l'attesa ma non la preoccupazione. "Anche l'anno scorso, proprio di questi tempi, ci fu la nevicata, ricordi ?" "Già anche l'anno scorso" "Non è che mentre aspettiamo la desertificazione ci lasciamo fregare dalla glaciazione ?" " Si ma non prendere l'auto, prendi il treno: è più comodo e più sicuro"<br /><br />Ma conversando nessun riferimento a quel Venerdì 17 che cominciava a scorrere con quell'aria pungente che aveva reso dolorose le tre dita pollice, indice e medio che si impegnano per tenere aperto il giornale durante la passeggiata col cane. Lui corre e lui legge. In parallelo due bisogni fisiologici: annusare il fogliame e l'aria che tira. Ogni mattina di buon ora Colui che porta il cane a spasso apre il suo giorno e il suo bisticcio quotidiano con lo stato delle cose e con il suo ormai cronico disagio. Ma, stretto dal freddo pregusta. Non solo si informa, fa il suo dovere di democratico accompagnatore di cane meticcio dal carattere ombroso e camminando pregusta come potrebbe essere divertente organizzare tiri mancini.<br /><br /> "Dormono e russando si danno un sacco di arie i nostri politici qui al governo e in Italia comodamente all'opposizione." <br /><br />L'aria è davvero pungente e non ci resta che tornare sui nostri passi in quel caso. Non ce la fanno i pensieri a far caldo, a spingere oltre e dolgono le dita e, a dire il vero anche il cane, non gradisce . " va bene così " ha scritto negli occhi e gira sui tacchi.<br /><br />"Che hai deciso, vai in treno ?"<br />"Si forse è meglio. Puoi guardare un po' su internet ? Potrei partire dalla nostra stazione che fortunatamente è sulla linea di percorrenza. Lascerò l'auto, prenderò il treno, leggerò un'oretta."<br />"Magari ci vorrà più di un'ora ma sicuramente è più comodo e più sicuro: dicono che oggi nevichi."<br />"Dicono che oggi nevichi ? Si lo dicono troppo perché si avveri!"<br /><br />Certo la neve è bella e tira scherzi niente male. Era già oltre Mosca l'Europa a cavallo di Napoleone. Erano intorno a Stalingrado le truppe naziste del dittatore viennese. La neve cadde silenziosa sulla 6° Armata e il gelo fece il lavoro sporco bloccando definitivamente ogni pretesa. La neve isola, taglia fuori, blocca gli accessi e impedisce la fuga. Oggi, più modestamente, separa i congiunti e pone tutti noi difronte a sconosciuti che si comportano come noi. Ognuno per proprio conto, ognuno col proprio racconto.<br /><br />Alle ore 11,14 transita con qualche minuto di ritardo il treno che le fa tutte le fermate, anche se a salire e scendere a quell'ora non c'è che qualche studente che torna a casa per le vacanze e un gruppo chiassoso di cinesi, che per fortuna alla terza fermata scendono,lasciando una sensazione di vuoto. <br /><br />All'arrivo trovo il mio amico che si è fatto accompagnare da due giovani collaboratrici. Tradotto significa che lui tira avanti un carro e loro provvedono a mantenerlo in sesto. Lui provoca e procura e loro danno forma e senso al lavoro. Campa da vent'anni con un Festival Rock. Il più interessante e bistrattato Festival Rock d'Europa. Una cosa che ormai va inonda a dispetto del suo destino, del suo Patron, dei suoi fragili e incrollabili ingredienti. <br /><br />La mia consulenza, però, non riguarda il Festival. E' generata dal Festival ma riguarda il suo Patron che è nato nella città di Angelo Pirella.<br /><br /> Qui merita uno stop: bisogna ricordarsi che Angelo con Franco Basaglia fecero di quella città, forse, la prima che accolse i matti nelle pieghe urbane. "Matti da slegare" fu una stagione di tenerezza e pazienza, di accoglienza e timore, coinvolgente e radiante. All'epoca gli avevo fatto visita più di una volta. Abitavo altre storie, lo facevo senza nemmeno rendermene troppo conto. <br /><br /> <br /><br />...............Ciranohttp://www.blogger.com/profile/03455422693744274694noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4259514753459631562.post-24979049280933330402010-11-23T16:35:00.004+00:002011-11-25T15:43:09.067+00:00Ed ora siamoEd ora siamo al 23 novembre del 2010. Sono le 17 e 35 e sono a casa perché me lo posso permettere. Quello che credevo quando redassi il post che precede quest'intervento non si è avverato. Tutto si è fatto nuovo. Ancora una volta e non è stato un male. Anzi: un dispiacere ha generato una nuova soddisfazione. Ora chissà cosa provoca in chi legga questa nota un incipit di questo tipo. Se ha letto cosa scrissi solo una anno fa troverà confermato che niente va come promette di andare. Non sono diventato un cantante come avrei voluto quando a sei anni mi nascondevo in garage e modulavo con quanto fiato avessi "mamma, solo per te la mia canzone vola/mamma, tu sei per me tu non sarai mai sola/quanto ti voglio bene..". Niente canto. Nemmeno sono restato a misurare gli scavi per l'opera di captazione delle sorgenti dei comuni di Guardistallo, Castellina Marittima e Montescudaio. Un'idea e una possibilità che si consumò nel giro di anno o poco meno.Mettere in fila i salti potrebbe annoiarvi. Quello che conta è che le radici non presero ( attecchirono) mai e la pianta, volando, cambiava quel tanto che la conservava uguale a se stessa. Verdina.(argomenti su cui tornare)<br /><br />Mi ha telefonato una amico. Uno che conosce i segreti dell'universo dei blog. Uno che vedrei volentieri come rigattiere di parole e sentimenti logori. Uno che fa collezione di sensazioni che mantiene in disordine con cura. E mi ha chiesto : " come stai?" . Non so come mi tenga gli occhi addosso ma ha letto le poche cose scritte qui sopra e si è preoccupato. Appena ho tempo vedrò di capire meglio quello che ho scritto.Ciranohttp://www.blogger.com/profile/03455422693744274694noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4259514753459631562.post-17017238860716423902009-11-24T09:58:00.003+00:002009-11-24T10:13:31.415+00:00L'eco più forte.FACEBOOK mi ha allontanato da questa solitudine. Ma non va bene. Torno. Mi ha sorpreso vedere quanto tempo è passato. Pare ieri. L'ultimo post è datato gennaio 2008. Possibile ? Eppure !Se ora mi chiedete a che punto stiano le cose io non saprei che dire. Mi pare che vada bene il consolidato senso di precarietà. Ogni giorno il successo consiste nel fatto che lo status è quello, non cambia. E non ci chiediamo perchè e nemmeno come. E' così. Tra me è la certezza c'è una separazione dinamica. Non passo da un posto all'altro per processo evolutivo, promozione, aumento di considerazione. Non guadagno di più, non ho più titolo. Nemmeno retrocedo, perdo in capacità d'acquisto, né mi arrocco, mi nascondo, acconsento. Niente. Nemmeno questo. Ma resto appeso al filo. Il mio contratto è di quelli che scadono. Devo stare tranquillo ? I potenti miei amici ripetono che si, devo stare tranquillo. Ed in fondo tranquillo sto tenendo gonfio il canotto e confidando ancora nella capacità di spingere sui remi. Vedremo e vi faro sapere.<br /><br />Amici che non ci siete: scrivere nel vuoto rende più forte l'eco.Ciranohttp://www.blogger.com/profile/03455422693744274694noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4259514753459631562.post-7912546593949508972009-02-03T14:33:00.001+00:002009-02-03T14:41:33.280+00:00Il dubbio vieneIl dubbio viene.<br />Non c'è niente da fare: il dubbio viene. Ci sono momenti che resta soffocato, altri in cui ti trova distratto. Ci sono impennate di presunzione, grumi d'orgoglio, comparazioni che paiono vantaggiose. Ma il dubbio viene. <br />In fondo solo poco più di un pugno di decine d'anni fa, intorno a me, se una cosa c'era, era la certezza. Eravamo certi d'essere persone perbene, lavoratori, attaccati alla famiglia, ai figli, alla loro educazione, alla trasmissione di valori a cui era stata dedicata la vita. Solo poco più di un pugno d'anni fa : padroni e preti da una parte; lavoratori, partigiani, garibaldini e poi comunisti dall'altra.<br /> Nel mezzo la città. I quartieri, le macerie lasciate dalla guerra, le botteghe artigiane, gli spacci alimentari, il quadernetto nero chiuso da un elastico in cui da dietro il banco annotavano il resto non riscosso sulla spesa di ogni giorno in modo da accumulare un po’ di risparmio che avremmo usato a Natale per mettere in tavola una bottiglia di spumante e una scatola di Ricciarelli.<br />Nel mezzo tra noi e loro. Un pianerottolo e due porte. La nostra e di fronte quella della Signora Baldorilli che era la sposa giovane e in carne di un sottoufficiale dell'aviazione militare. Loro non votavano comunista nemmeno a parlarne eppure "buon giorno Signora..", "..buon giorno Signora". "Vittorio, fai il bravo, vai a sentire la Signora Baldorilli se per caso ha un po’ di sale da prestarci che l'ho finito. Poi quando esco lo compro e glielo rendo". Ed io un attimo dopo suonavo il campanello alla porta di fronte, su un pianerottolo lindo che pareva un salottino, che veniva mantenuto così dal turno di pulizia che le signore si erano divise e che naturalmente avevano rispettato con la rinomata precisione delle Guardie Svizzere. "Buon giorno Signora Baldorilli - dicevo - ha mica da prestarci un pochino di sale che dopo la mamma quando esce lo compra e glielo rende, per favore" " Ma certo, entra, entra" Ed io guardavo la casa che pareva uno specchio. La cucina in formica azzurrina era su per giù come la nostra ma la sala sembrava un film. Buia e lucente. Un tavolo ovale con il vetro e le sedie imbottite con la seduta rosso ruggine. Due specchiere, un divano, una libreria e la radio, grossa, con il giradischi per sentire le romanze. Centrini e soprammobili. Poggiate sopra un vassoio, due bottiglie che parevano sculture, di vetro grosso e tappo quadrato in cui brillava un liquido che a guardarlo sembrava buonissimo. "Ecco qua, di alla mamma che non si preoccupi, per un po’ di sale".<br />Nel mezzo il nostro rione, ora diremmo il quartiere. La casa del popolo e la parrocchia. Chi andava a catechismo, poi giocava a ping - pong. Era difficile che quelle famiglie ci dessero il voto. Noi alla casa del popolo si ballava con la musica di un Jukebox, ma tra maschi. Il sabato sera i grandi ballavano con le ragazze e noi sempre tra maschi. <br />In linea di massima era tutto chiaro. Noi avremmo dovuto studiare e i genitori lavorare sodo. Senza tante storie, passo dietro passo. Sapendo che quello era il percorso da compiere, che un giorno, ormai non lontano, l'Italia sarebbe stata dei Lavoratori. Governata dal Partito Comunista di Palmiro Togliatti ed anche loro, uno alla volta, compresa la Signora Baldorilli e suo marito il Maresciallo Maggiore avrebbero votato, magari senza dirlo, per il Partito Comunista Italiano. <br />Cosa che non accadde mai, ma a tutti noi non mancò niente. A parte il fatto che a me i Jeans originali americani, i Lee, non me li comprarono mai. Se volevo c'erano i Reefle, quelli che non scolorivano, se no niente. Ma che conta, che importa. Quello era il particolare che non va mai confuso con il generale. Alcuni con i Jeans che scolorivano ed io unico a cui non scolorirono mai potemmo conservare le nostre differenze, arricchirle, disegnarle. Potemmo occupare quella terra di mezzo che era la città, le piazze, le strade, le scuole, con i nostri canti e le nostre intenzioni. A volte festose, altre più cupe e indispettite.<br />Il tempo vola e quello che vedemmo passare, non va detto per amor del rimpianto, era davvero un gran tempo. Gli uomini e le loro consorti erano usciti dalla guerra ed ora le corti erano piene di marmocchi. A questi dedicarono, più che l'attenzione, l'immaginazione. "A scuola, a scuola...a lavorare ci si pensa noi" quando lo dicevano non ti guardavano nemmeno. Non volevano mica convincere. Lo dicevano per se. <br />Il dubbio, viene. Anche allora e negli anni a seguire. Quando si andava a votare era dura. Anche allora, qui da noi si vinceva ma in Italia, nel paese vincevano i preti e dietro a questi i padroni. Erano di più. Erano di più le monache delle mondine, i parroci dei minatori, i padroni degli operai. Da non credere.<br />Via San Lorenzo si chiudeva a T. A destra, a pochi metri la Questura: " sui muri della Questura c'era scritto in rosso, la rivolta è orami vicina/ La polizia ha arrestato un paio di pennelli, ma sono scappati anche questa volta un gruppetto di ribelli " . A sinistra, dopo aver scorso il muro di una bella fabbrica, si trovava Porta San Zeno. In quella fabbrica lavoravano tante donne. Era la Marzotto, ottocento operai. Ottocento famiglie operaie che nel giro di pochi mesi si trovarono in mezzo alla strada. Insieme a loro, i nostri canti e i nostri cortei ma la Marzotto restò chiusa ed ora è la sede della segreteria della Università degli Studi.<br /> Spariti. Spariti come gli operai della Vis, della Fiat di Marina, della Piaggio, del Pennellificio Toscano. Migliaia di famiglie che restano e cambiano. Una volta ci mettemmo a contarli, avremmo voluto raccontarli. Fabio ne intervistò per ore ed ore di nastro. Nessun dramma, il terziario e l'Università avevano ammortizzato il colpo. Noi eravamo cresciuti, appesantiti e trasformati. Tutto sotto gli occhi, tutto come sabbia che corre via dalla mano. Tutto, e il dubbio viene e rimane.<br />Abbiamo nuotato per anni come pesci nell'acqua. Zelig, Fregoli, Bustric non sapevano far meglio. Tu disoccupato ? Disoccupato anch'io. Tu soldato ? soldato anch'io. Tu carcerato ? Carcerato anch'io. Ma anche tu sardo ? sardo anch'io. Tu Siciliano ? Siciliano anch'io. Come pesci nell'acqua: identici ! E' così che si faceva "un mondo di fratelli", altro che canzoni.<br />Conobbi Ciuzzo ad Agrigento ma veniva da Gela. Aspettava sulla soglia del Centro Sociale. Dal continente arrivavano due compagni del Movimento. Due che erano scesi per restare, per costruire insieme l'organizzazione per le lotte di tutti i picciotti. Ma non ho voglia di parlare di quell'esperienza come di un'esperienza politica. Non ho voglia nemmeno di ricordare le parole del nostro viaggio a Sud. Per me poi, non era nemmeno sud. Era più in là. <br />Ciuzzo Abela da Gela. Studente Medio, frequentava poco e svogliatamente le Scuole superiori, mi pare l'Istituto Tecnico Industriale, chimico. E', certo. A Gela l'Anic aveva impiantato il petrolchimico e di li a poco era nato un quartiere residenziale dove vivevano i tecnici. Tutt' intorno una campagna bruciata dal sole, silenzio rotto dallo zillare delle cavallette. Gela, capirò, non era la città più brutta d'Italia. Era il luogo più stupito che abbia mai visto. Le persone e le cose parevano chiedersi “ma davvero son qui ?” Lo stupore fu reciproco e immediato, come la simpatia, la fiducia e l'amicizia. Profonda, generosa, naturale. Ciuzzo era moro, alto. Le guance coperte da una lucente barba nera e occhi vispi e voce forte e versatile, ma bassa e profonda. Sette fratelli maschi, padre e madre. Si arrangiavano producendo e vendendo prodotti chimici. Saponi e detersivi per lavare auto e superfici. L'importante era che i figli studiassero. Prendessero un titolo, si mettessero al riparo dalla paura di una povertà sempre pronta a prendere il sopravvento. Mi trattenni con loro a lungo. Insieme a dire no. No ai sindacati, ai partiti, alla chiesa, ai notabili. No. Mi trattenni a lungo ad ascoltare la storia di poeti e naviganti. Di fratelli che non sarebbero più tornati. Di morose che non potevano essere guardate, nemmeno pensate. I destini erano segnati. In più Ciuzzo aveva una malattia che pareva una fortuna. Zoppicava ma era veloce. Aveva due mani enormi e un viso della bellezza di un Cristo. Parlava ai suoi con voce calma e raccontava che Gela avrebbe potuto essere bella. Con la sua marina e la sua campagna. Quello che guastava era lo sfruttamento. Era quel prendere senza chiedere. Era che l'Anic faceva stare bene e sperare solo quei pochi e non tutti siciliani. A Gela c'erano anche i sardi. Ma agli altri, ai meschini, cosa prometteva ? Cosa dava ? Lavoro precario, rischi e fatica. Tanta fatica e rischi che puntualmente facevano suonare le campane della chiesa centrale.<br />Il lavoro non c'era e il reclutamento era una feroce costruzione d'inimicizia. Emigrazione e rimesse. Case che al posto del tetto avevano i ferri per le camere della sposa appena fossero arrivati dei soldi dalla Germania. Gela era stupita che qualcuno si fermasse a parlare. Che ascoltasse la loro voce e che raccontasse dei fratelli del nord. A pensarci quello che passò fu un venticello che lì per lì rinfresca un poco l'aria e lascia che il dubbio poi si faccia strada da solo. <br />Era come se avessi fatto una corsa impegnando le forze che avevo senza tener conto della respirazione necessaria, del dosaggio e rimasi in mezzo al guado. Battuto mi ritirai. Pochi mesi e mi nacque il primo figlio, pochi mesi e arrangiai qualche lavoro, pochi mesi e sentii suonare alla porta. Andai ad aprire. Era Ciuzzo. Si iscrisse alla quinta dell'Istituto Tecnico Industriale della mia città. Viveva a casa con noi. Cullava e ninnava mio figlio con quella sua voce bassa e melodica e il giorno di un compleanno, dopo una buona mangiata e uno robusta bevuta, mentre giocavamo a ping pong, si accasciò e mori tra le mie braccia. <br />Io lo accompagnai a Gela. La chiesa centrale lasciò che entrasse la bara accarezzata dalle sue bandiere. Le bandiere erano rosse e senza stemmi. Tutta la città aveva il cappello in mano. Il suo tempo era finito e anche quello dello stupore si mostrava rassegnato.<br />Un salto. Fanne un altro. Sono trascorsi trentasei anni. A Gela c'è un sindaco battagliero. Saro Crocetta. C'era già anche ai nostri tempi. Era un picciotto del '51 e gironzolava intorno. Non ho ricordi, mi resta solo il nome e la sua dichiarazione pubblica di omosessualità. Forte. Nella mia stagione a Gela le giornate si dividevano tra studenti medi in sciopero, operai dell'Anic in riunione, disoccupati al collocamento, la sede, il ciclostile, la competizione con quelli di Potere Operaio che ramazzavano costruendo un vicolo tra lotta di popolo e lotta del partito armato. Un continuo ammiccamento ai miei che invece mi tenevo ben stretti. Però erano più belli loro. Alti, atleticamente prestanti e accompagnati da donne misteriose e attraenti. Donne che si lasciavano sognare. Parlavano nei capannelli ma non erano brave ai fornelli e anche l'ordine in casa era quello che era. Noi eravamo più bravi sia ai fornelli che con la granata. E' certo. Eravamo più bravi. Ma a volte mi prendeva una voglia di tenerezza che non stavo in piedi. Beati loro, pensavo. Mi giravo e affogavo tutto nel sonno. Una sera, anzi era notte fonda, tornavo da Siracusa dove si era svolta una riunione non so più su che, perché, con chi, imboccai una curva che si apriva sull'ultima discesa prima di abbandonare l'asfalto e inabissarsi nel quartiere senza strade e senza fogne dove avevo affittato un bellissimo appartamento a tetto da cui vedevo il mare e le luci del petrolchimico con cui a volte ragionavo. La notte non era buia, era grigia, calda. Tutto serrato, russava, e si potevano cogliere gli sbadigli dei gatti e il passo rassegnato dei cani randagi. Da una porta una luce invadeva il piccolo marciapiede e da una tenda composta da fili di simil corallo una gamba faceva capolino. No ?! Sobbalzai alla guida. Una puttana a due passi dall'arrivo. A due passi da quella rassegnata solitudine c'era una puttana. Un miraggio ? Un miracolo ? Comunque un cambiamento. Una epifania ! Accostai la cinquecento al marciapiede. Mi guardai intorno. Il capo dei picciotti che vogliono fare la rivoluzione imbucarsi con una puttana non era proprio un granché di notizia. Ma l'ora era tale. Scesi attraversai la strada come se non fossi io ed entrai. Sulla sedia dietro la porta un uomo piccolo portava la coppola e teneva lo sguardo basso. Appena varcata la soglia si alzò e uscì. In fondo alla stanza in piedi davanti al letto un uomo mal travestito con la gamba colpevole ancora bene in vista. No! No! NOOO! Uscii senza correre, salii in macchina e me ne andai mentre alle spalle sentii soltanto: "Aspetta". Quella notte faticai di più a prendere sonno. <br /><br />Anni luce, fisionomia dispersa. Le cose stanno insieme, si parlano ma non aspettano la risposta. Convivono come i separati in casa. Gli episodi si guardano in cagnesco e il dubbio viene.<br /><br />(continua)Ciranohttp://www.blogger.com/profile/03455422693744274694noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4259514753459631562.post-57226284256326968202008-11-11T14:48:00.002+00:002008-11-11T15:07:04.837+00:00Mamma AfricaHa cantato con l'ultimo respiro, ha dondolato la testa come fanno quelli che sanno che quello che gli esce dalla bocca non sono parole ma è musica. Musica che consola, che accompagna, che racconta, che esorta. Mirian Makeba lo faceva dall'inizio degli anni 50. Mamma Africa muore a Castelvolturno dopo aver cantato per Roberto Saviano. Ho sempre pensato che nella morte naturale c'è un tratto eroico. Tirarla fino in fondo, non aspettare che arrivi ma lasciare che arrivi. L'ultima pagina di certi libri lascia la certezza che quello che ci ha accompagnato non può più finire perchè è diventato un pensiero. Si è trasformato nelle poche cose che sappiamo. Un regalo.Ciranohttp://www.blogger.com/profile/03455422693744274694noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4259514753459631562.post-79403419674904915742008-10-03T14:44:00.003+01:002008-10-03T15:02:24.828+01:00L'acqua di un lago.Nel film di Paolo Benvenuti - Puccini e la fanciulla - , tra l'altro, c'è l'acqua del lago. Ferma, tagliata dalla navigazione dei barchetti. C'è il vento che piega le canne ma l'acqua si colora con le ombre delle sponde e tace. Non è acqua stagnante. Sotto correnti lente la rinnovano. Ora penso che è bella l'acqua che si muove e che si rompe. La vita là sotto si dà da fare, si organizza. Le acque intorno a noi si mostrano agitate. Forse è la speranza che si contrappone alla disperazione di non potere più nulla. Il gioco è davanti ad ognuno e il bicchiere non è ancora vuoto. <br /><br />Si è aperta la competizione e si incontrano le frasi di un confronto che ancora non convince. Per ciò che è necessario occorre un'articolazione più forte e più lenta. Dovrebbe lasciarsi apprezzare, lasciarsi ammirare. E' questione di movimento. Quando il barchetto si stacca dalla sponda si fida della sua siluette. E' visibile e apprezzabile la sua sicurezza. Ancora manca qualcosa che potrebbe essere poco, ma è tutto.Ciranohttp://www.blogger.com/profile/03455422693744274694noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4259514753459631562.post-88496255298779668982008-09-16T11:52:00.000+01:002008-09-16T11:53:31.035+01:00Questi son tempi duri. Non sprechiamoli.Se dovessimo raccontare ad uno sconosciuto, curioso, capitato per caso dalle nostre parti, da che parte cominceremmo ? <br />Proviamo insieme:<br />Questa città, potremmo dire, è una delle più antiche, belle e ricche del mondo. Non è tanto grande ma intensa. Frequentata ed ambita e normalmente carica di problemi funzionali, ambientali, sociali. In questa città è in scadenza il governo. Tra poco i cittadini dovranno assegnare il compito ad una nuova amministrazione. <br />Come sappiamo la vita politica della città è affidata ai partiti anche se l’elezione si concentra sul nome di un cittadino di questo o quello schieramento di partiti, appunto. Chi raggiungerà la maggioranza più uno dei voti espressi diverrà Sindaco. A lui e alla coalizione che lo esprime toccherà governare per cinque anni la nostra invidiata città.<br />Sconosciuto: Bello ! Semplice, diretto. I candidati sono espressione di schieramenti. Presentano agli elettori cosa intendono realizzare, come intendono farlo, con quali forze (componenti politiche e sociali) e se creduti ottengono i voti necessari, vincono.<br />Non è così ?<br />E’ così. Certo. Figuriamoci. Qui da noi ci sono due schieramenti ma potrebbero essere tre o addirittura quattro anche se il Sindaco scaturirà dalle formazioni politiche maggiori. Probabilmente dal Partito Democratico nel caso che si affermi il centrosinistra o dal Popolo delle Libertà nel caso che invece vinca il centrodestra. Deve tener presente, anche, che in modo ormai sancito e ribadito il Partito Democratico sceglierà il proprio candidato attraverso un consultazione elettorale denominata Primarie !<br />Sconosciuto: Eccezionale ! La democrazia fondata sulla partecipazione. Il partito Democratico sarà in campo con un candidato condiviso perché scelto. Chi, per fare cosa, con chi ! <br />Non è così ?<br />E’ così. Certo. Pensi che in quest’occasione mentre lo schieramento del Popolo delle liberta non ha ancora annunciato alcun confronto per scegliere il proprio candidato per il Partito Democratico si profila un confronto tra cinque opportunità diverse. Una donna e quattro maschi. E stia attento, quando dico diversi intendo diversi. Coabitano un’area politica, si ispirano a principi di giustizia, vogliono rendere la città più moderna, più vivibile, più facile, più sicura e anche più ospitale. Ed ognuno lo vuole con un disegno proprio, con un percorso proprio. <br /><br />Sconosciuto : Ma è un vantaggio incredibile ! Perché gli altri non fanno così ? Sono pazzi ? Tutti gli abitanti della città proveranno più simpatia per uno piuttosto che per un altro, ogni progetto diverrà terreno per considerazioni, ragionamenti e alla fine quando decine di migliaia di persone si recheranno alle urne per scegliere il proprio candidato la forza di quello schieramento sarà davvero cresciuta. A casa mia è andata così.<br />Non crede ?Ciranohttp://www.blogger.com/profile/03455422693744274694noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4259514753459631562.post-63010706436774887182008-06-27T10:55:00.002+01:002008-09-17T14:07:40.824+01:00Il dubbio viene.Non c'è niente da fare: il dubio viene. Ci sono momenti che resta soffocato, altri in cui ti trovi distratto. Ci sono impennate di presunzione, grumi d'orgoglio, comparazioni che paiono vantaggiose. Ma il dubbio viene.In fondo solo poco più di un pugno di decine d'anni fa, intorno a me, se una cosa c'era era la certezza. Eravamo certi d'essere persone perbene, lavoratori, attaccati alla famiglia, ai figli, alla loro educazione, alla trasmissione di valori a cui era stata dedicata la vita. Solo poco più di un pugno d'anni fa : padroni e preti da una partre; lavoratori, partigiani, garibaldini e poi comunisti dall'altra. <br />Nel mezzo la città. I quartieri, le macerie lasciate dalla guerra, le botteghe artigiane, gli spacci alimentari, il quadernetto nero chiuso da un elastico in cui allo spaccio annotavano il resto non riscosso su la spesa di ogni giorno in modo da accumulare un pò di risparmio che avremmo usato a Natale per mettere in tevola una bottiglia di spumante e una scatola di Ricciarelli. Nel mezzo tra noi e loro. Un pianerottolo e due porte. La nostra e di fronte quella della Signora Baldorilli che era la sposa giovane e in carne di un sottoufficiale dell'aviazione militare. Loro non votavano comunista nemmeno a parlarne eppure "buon giorno signora..", "..Buon giorno Signora". "Vittorio, fai il bravo, vai un pò a sentire la Signora Baldorilli se per caso c'ha un pò di sale da prestarci che l'ho finito. Poi quando esco lo compro e glielo rendo". Ed io un attimo dopo suonavo il campanello alla porta di fronte, su un pianerottolo lindo che pareva un salottino, che veniva mantenuto così dal turno di pulizia che le signore si erano divise e che naturalmente avevano rispettato con la rinomata precisione delle Guardie Svizzere. "Buon giorno Signora Baldorilli - dicevo - c'ha mica da prestarci un pochino di sale che dopo la mia mamma quando esce lo compra e glielo rende, per favore" " Ma certo, entra, entra" Ed io guardavo la casa che pareva uno specchio. La cucina in formica azzurrina era su per giù come la nostra ma la sala sembrava un film. Buia e lucente. Un tavolo ovale con il vetro e le sedie imbottite con la seduta rosso ruggine. Due specchiere un divano, una libreria e la radio, grossa, con il giradischi per sentire le romanze. Centrini e soprammobili. Poggiate sopra un vassoio, due bottiglie che parevano sculture, di vetro grosso e tappo quadrato in cui brillava un liquido che a guardarlo sembrava buonissimo. "Ecco quà, di alla mamma che non si proccupi, per un pò di sale".<br />Nel mezzo il nostro rione, ora diremmo il quartire. La casa del popolo e la parrocchia. Chi andava a catechismo, poi giocava a ping pong. Era difficile che quello famiglie ci dessero il voto. Noi alla casa del popolo si ballava con la musica di un Jukebox, ma tra maschi. Il sabato sera i grandi ballavano con le ragazze e noi sempre tra maschi. <br /><br />In linea di massima era tutto chiaro. Noi avremmo dovuto studiare e i genitori lavorare sodo. Senza tante storie, passo dietro passo. Sapendo che quello era il percorso da compiere, che un giorno, ormai non lontano, l'Italia sarebbe stata dei Lavoratori. Governata dal Partito Comunista di Palmiro Togliatti ed anche loro, uno alla volta, compresa la Signora Baldorilli e suo marito il Maresciallo Maggiore avrebbero votato, magari senza dirlo, per il Partito Comunista Italiano. <br /><br /> Cosa che non accadde mai, ma a tutti noi non mancò niente. A parte il fatto che a me i Jeans originali americani, i Lee, non me li comprarono mai. Se volevo c'erano i Reefle, quelli che non scolorivano, se no niente. Ma che conta, che importa. Quello era il particolare che non va mai confuso con il generale. Alcuni con i Jeans che scolorivano ed io unico a cui non scolorirono mai potemmo conservare le nostre differenze, arricchirle, disegnarle. Potemmo occupare quella terra di mezzo che era la citta, le piazze, le strade, le scuole, con i nostri canti e le nostre intenzioni. A volte festose, altre più cupe e indispettite.<br /><br />Il tempo vola e quello che vedemmo passare, non va detto per amor del rimpianto, era davvero un gran tempo. Gli uomini e le loro consorti erano usciti dalla guerra riempendo le corti di marmocchi ai quali dedicarono, più che l'attenzione, l'immaginazione. "A scuola, a scuola...a lavorare ci si pensa noi" quando lo dicevano non ti guardavano nemmeno. Non volevano mica convincere. Lo dicevano per se.<br /><br />Il dubbio, viene. Anche allora e negli anni a seguire. Quando si andava a votare era dura. Anche allora, qui da noi si vinceva ma in Italia, nel paese vincevano i preti e dietro a questi i padroni. Erano di più. Erano di più le monache delle mondine, i parroci dei minatori, i padroni degli operai. Da non credere.<br /><br />Via San Lorenzo si chiudeva a T. A destra, a pochi metri la Questura: " sui muri della Questura c'era scritto in rosso, la rivolta è orami vicina/ La polizia ha arrestato un paio di pennelli, ma sono scappati anche questa volta un gruppetto di ribelli " . A sinistra, dopo aver scorso il muro di una bella fabbrica, si trovava Porta San Zeno. In quella fabbrica lavoravano tante donne. Era la Marzotto, ottocento operai. Ottocento famiglie operaie che nel giro di pochi mesi si trovarono in mezzo alla strada. Insieme a loro, i nostri canti e i nostri cortei ma la Marzotto restò chiusa ed ora è la sede della segreteria della Università degli Studi. Spariti. Spariti come gli operai della Vis, della Fiat di Marina, della Piaggio, del Pennellificio Toscano. Migliaia di famiglie che restano e cambiano. Una volta ci mettemmo a contarli, avremmo voluto raccontarli. Fabio ne intervistò per ore ed ore di nastro. Nessun dramma, il terziario e l'Università avevano ammortizzato il colpo. Noi eravamo cresciuti, appesantiti e trasformati. Tutto sotto gli occhi, tutto come sabbia che corre via dalla mano. Tutto, e il dubbio viene e rimane.<br /><br />Abbiamo nuotato per anni come pesci nell'acqua. Zelig, Fregoli, Bustric non sapevano far meglio. Tu disoccupato ? Disoccupato anch'io. Tu soldato ? soldato anch'io. Tu carcerato ? Carcerato anch'io. Ma anche tu sardo ? sardo anch'io. Tu Siciliano ? Siciliano anch'io. Come pesci nell'acqua: identici ! E' così che si faceva "un mondo di fratelli", altro che canzoni.<br /><br />Conobbi Ciuzzo ad Agrigento. Aspettava sulla soglia del Centro Sociale. Dal continente arrivavano due compagni del Movimento. Due che erano scesi per restare, per costruire insieme l'organizzazione per le lotte di tutti i picciotti. Ma non ho voglia di parlare di quell'esperienza come di un'esperienza politica. Non ho voglia nemmeno di ricordare le parole del nostro viaggio a Sud. Per me poi, non era nemmeno sud. Era più in là. <br />Ciuzzo Abela da Gela. Studente Medio, frequentava poco e svogliatamente le Scuole superiori, mi pare l'Istituto Tecnico Industriale, chimico. E', certo. A <br />Gela l'Anic aveva impiantato il petrolchimico e di li a poco era nato un quartire residenziale dove viveno i tecnici. Tutt'intorno una campagna bruciata dal sole, silenzio rotto dallo zillare delle cavallette. Gela, capirò, non era la città più brutta d'Italia. Era il luogo più stupito che abbia mai visto. Lo stupore fu reciproco e immediato, come la simpatia, la fiducia e l'amicizia. Profonda, generosa, naturale, immediata. Ciuzzo era moro, alto. Le guance coperte da una lucente barba nera e occhi vispi e voce forte e versatile, ma bassa e profonda. Sette fratelli maschi, padre e madre. Si arrangiavano producendo e vendendo prodotti chimici. Saponi e detersivi per lavare auto e superfici. L'importante era che i figli studiassero. Prendessero un titolo, si mettessero al riparo dalla paura di una povertà sempre pronta a prendere il sospravvento. Mi trattenni con loro a lungo. Insieme a dire no. No ai sindacati, ai partiti, alla chiesa, ai notabili. No. Mi trattenni a lungo ad ascoltare la storia di poeti e naviganti. Di fratelli che non sarebbero più tornati. Di morose che non potevano essere guardate, nemmeno pensate. I destini erano segnati. In più Ciuzzo aveva una malattia che pareva una fortuna. Zoppicava ma era veloce. Aveva due mani enormi e un viso della bellezza di un Cristo. Parlava ai suoi con voce calma e raccontava che Gela avrebbe potuto essere bella. Con la sua marina e la sua campagna. Quello che guastava era lo sfruttamento. Era quel prendere senza chiedere. Era che l'Anic faceva stare bene e sperare solo quei pochi e non tutti siciliani. A Gela c'erano anche i sardi. Ma agli altri, ai meschini, cosa prometteva ? Cosa dava ? Lavoro precario, rischi e fatica. Tanta fatica e rischi che puntualmente facevano suonare le campane della chiesa centrale.<br />Il lavoro non c'era e il reclutamento era una feroce costruzione d'inimicizia. Emigrazione e rimesse. Case che al posto del tetto avevano i ferri per le camere della sposa appena fossero arrivati dei soldi dalla Germania. Gela era stupita che qualcuno si fermasse a parlare. Che ascoltasse la loro voce e che raccontasse dei fratelli del nord. A pensarci quello che passò fu un venticello che lì per lì rinfresca un poco l'aria e lascia che il dubbio poi si faccia strada da solo. Era come se avessi fatto una corsa impegnando le forze che avevo senza tener conto della respirazione necessaria, del dosaggio e rimasi in mezzo al guado. Battuto mi ritirai. Pochi mesi e mi nacque il primo figlio, pochi mesi e arrangiai qualche lavoro, pochi mesi e sentii suonare alla porta. Andai ad aprire. Era Ciuzzo. Si iscrisse alla quinta dell'Istituto Tecnico Industriale della mia città. Viveva a casa con noi. Cullava e ninnava mio figlio con quella sua voce bassa e melodica e il giorno di un compleanno, dopo una buona mangiata e uno robusta bevuta, mentre giocavamo a ping pong, si accasciò e mori tra le mie braccia. <br />Io lo accompagnai a Gela. La chiesa centrale lasciò che entrasse la bara accarezzata dalle sue bandiere. Tutta la città aveva il cappello in mano. Il suo tempo era finito e anche quello dello stupore si mostrava rassegnato.<br /><br />Un salto. Fanne un altro. Sono trascorsi trentasei anni. A Gela c'è un sindaco battagliero. Saro Crocetta. C'era già anche ai nostri tempi. Era un picciotto del '51 e gironzolava intorno. Non ho ricordi, mi resta solo il nome e la sua dichiarazione pubblica di omosessualità. Forte. Nella mia stagione a Gela le giornate si dividevano tra studenti medi in sciopero, operai dell'Anic in riunione, disoccupati al collocamento, la sede, il ciclostile, la competizione con quelli di Potere Operaio che ramazzavano costruendo un vicolo tra lotta di popolo e lotta del partito armato. Un continuo ammiccamento ai miei che invece mi tenevo ben stretti. Però erano più belli loro. Alti, atleticamente prestanti e accompagnati da donne misteriose e attraenti. Donne che si lasciavano sognare. Parlavano nei capanneli ma non erano brave ai fornelli e anche l'ordine in casa era quello che era. Noi eravamo più bravi sia ai fornelli che con la granata. E' certo. Eravamo più bravi. Ma a volte mi prendeva una voglia di tenerezza che non stavo in piedi. Beati loro, pensavo. Mi giravo e affogavo tutto nel sonno. Una sera, anzi era notte fonda, tornavo da Siracusa dove si era svolta una riunione non so più su che, perchè, con chi, imboccai una curva che si apriva sull'ultima discesa prima di abbandonare l'asfalto e inabissarsi nel quartiere senza strade e senza fogne dove avevo affittato un bellissimo appartamento a tetto da cui vedevo il mare e le luci del petrolchimico con cui a volte ragionavo. La notte non era buia, era grigia, calda. Tutto serrato, russava, e si potevano cogliere gli sbadigli dei gatti e il passo rassegnato dei cani randagi. Da una porta una luce invadeva il piccolo marciapiede e da una tenda composta da fili di simil corallo una gamba faceva capolino. No ?! Sobbalzai alla guida. Una puttana a due passi dall'arrivo. A due passi da quella rassegnata solitudine c'era una puttana. Un miraggio ? Un miracolo ? Comunque un cambiamento. Una epifania ! Accostai la cinquecento al marciapiede. Mi guardai intorno. Il capo dei picciotti che vogliono fare la rivoluzione imbucarsi con una puttana non era proprio un granchè di notizia. Ma l'ora era tale. Scesi attraversai la strada come se non fossi io ed entrai. Sulla sedia dietro la porta un uomo piccolo portava la coppola e teneva lo sguardo basso. Appena varcata la soglia si alzò e uscì. In fondo alla stanza in piedi davanti al letto un uomo mal travestito con la gamba colpevole ancora bene in vista. No! No! NOOO! Uscii senza correre, salii in macchina e me ne andai mentre alle spalle sentii soltanto: "Aspetta". Quella notte faticai un pò di più a prendere sonno. <br /><br />Anni luce, fisionomia dispersa. Le cose stanno insieme, si parlano ma non aspettano la risposta. Convivono come i separati in casa. Gli episodi si guardano in cagnesco e il dubbio viene.<br /><br /><br /><br /><br />(continua)Ciranohttp://www.blogger.com/profile/03455422693744274694noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-4259514753459631562.post-20229379665859822652008-06-01T17:23:00.000+01:002008-06-16T11:36:40.308+01:00ESSAOUIRAA sud. A sud di Marrakesch si va quasi per noia. Un po di idee che conserviamo da sempre, il tempo che si lascia pensare. Non passa più come una volta, rapido, incosciente.Poi la <em>speranza</em> di intravedere. Comunque un pretesto per una navigazione in assetto solitario. Mi piace stare solo e lo faccio con vecchie compagnie. Vado a trovare un amico che non frequento da anni. Che partì e che non torna. Lui vive ad Essaouira. <br /><br />A Essaouira ci è arrivata un po di gente che non si è più mossa. C'è il sole - splendente, luminoso; c'è l'aria, fresca. Il vento spesso la fa gelida. Scompone i capelli e scuote il velo delle donne. Non da tregua il vento e il sole brucia. La terra delle vele. Oggi degli amanti della "tavola" che vola e volteggia. Una piccola città, ottantamila abitanti, con un porto che pare uscito da un racconto e una medina che è un concentrato di storie perse. Basta tendere l'orecchio. <br /><br />"Nella barca qua di fronte c'è un pesce <em>nuovo</em>" ci dice un ragazzo. Un pesce nuovo ? Si un pesce grande, nero, lungo tutta la barca. Lo hanno preso ad una profondità di cinquecento metri. Nessuno lo conosce. Poi cambia discorso. Il fegato degli squali lo pagano venticinque euro il klogrammo. Lo usano per fare medicine.<br /><br />I colori, il passo dei viandanti,i costumi, quel modo di parlarsi quasi negli orecchi o aperti a capannelli vocianti. La città araba è ormai ampiamente descritta, visitata, percorsa da foto che non salvano niente e forse nemmeno vedono e da descrizioni e ambientazioni di vicende. Io cammino qui in mezzo con in mano il paragone. Uno strumento complesso che misura il confronto. Spero che siate gentili e non pensiate a tragitti brevi tra le abitudini. Lo sguardo è rapito prima di tutto dalla vitalità e dalla bellezza dei personaggi di questa storia, di questo luogo che sembra non aver cura di te che lo guardi. Sembra, perché così non è più, ma così è stato e stando fermi si intravede ancora bene ciò che sta andandosene in fretta.<br /><br />Loro e noi. Lo diceva bene ieri sera un amico di qui, Raschid. Per strada avevamo incontrato una francesina carina e affabile che lavora alla Associazione franco-marocchina. "Stasera c'è un'iniziativa culturale.." aveva detto. "Una lettura che ha per oggetto il sesso.." Il sesso ? Ridiamo e scherziamo. Più tardi ci arriva via telefono l'invito. Raschid che tiene alle buone maniere e alle buone relazioni accetta. Noi lo prendiamo un po in giro. Lui è giovane e carino ed anche la francesina è carina e tutto si presta al gioco. Noi scegliamo un ristorante al porto e Rascid va.<br /><br />Loro e noi. "Per loro va bene, per noi è troppo, troppo. Alcuni marocchini hanno lasciato la sala. Io no, ma non va bene. Tutto, dicevano tutto. Come si prende il pisellino..come ci si tocca se si vuol fare da soli..troppo. Per loro va bene, in Europa, si sa. Da noi no, no." Lo diceva ridendo, con un pudore che tra uomini non ho incontrato facilmente ma che so esistere anche dietro il nostro dire sboccato.<br /><br />La Medina è un universo dove convivono l'agio e l'abbondono. L'agio dietro la soglia, l'abbandono sdraiato sulla soglia. Le due cose sono assolutamente naturali. L'una scavalca l'altra. La carità è diffusa e qui pare più spigolatura che carità.Le gocce di un'acqua da anfora colma. Si tiene con il paesaggio. Non c'è un gran traffico di auto. Gli asini e i cammelli viaggiano con i loro passi cadenzati e quel dondolare mansueto. Nella Medina hanno preso campo i motorini, ma i barrocci a traina umana fanno il lavoro duro. I bambini giocano nei vicoli e non sono aggressivi. Se ti spingi nella tela puoi perderti e non corri alcun pericolo. Di giorno e di notte. Vengono in mente i grandi problemi, comprese le ridondanze psicologiche, che si vivono a casa nostra. In ogni vicolo c'è un signore che oltre al suo lavoro fa la spia. Guarda e racconta, riferisce e a volte interviene. Rivolgersi a lui costa poco più di una mancia e il caso è sottoposto ad osservazione e nel caso ad un intervento. Mi fa pensare che in fondo qualcuno che s'impicci negli affari degli altri potrebbe risultare utile. Certo c'è il pericolo che questo qualcuno profitti, sia cattivo e allora sono guai. Qui sento spesso, nel normale conversare, la definizione di buono o di cattivo applicato alle persone. Infatti noi pensiamo solo raramente che ci siano anche un pò di uomini cattivi e siamo portati a considerare stupidi o incapaci coloro che in fondo sono solo cattivi.<br /><br />Immaginiamo un tempo. Non tanto tempo fa. Quando il sogno visionario - un po per le botte ricevute e un po perchè, se Dio vuole, anche gli eroi invecchiano e capita pure che muoiano - quando il sogno visionario, dicevo, mostrava un restringimento del campo d'azione, molti guardarono l'orizzonte. C'è stato chi ha costruito un traghetto in indonesia, chi a aperto un ristorante a Goa, chi ha conquistato Berlino e chi si è inabissato a Essaouira. Venti, quindici, dieci anni fa. Fecero capolino qui. Jim Hendrix vi prese casa. C'è chi dice che non ci sia mai venuto ma sulla sinistra del golfo si vede il castello, la fortezza che utilizzò per comporre e dove ospitò gli amici di una comunità Hippy. Vero o non vero l'aria che respirarono è quella. Un presepe accogliente dove con una piccola rendita si poteva non fare niente. Niente. Il cibo squisito. La frutta e la verdura. Gli abiti informali e colorati. Il fumo. La lontananza. Per arrivare ad Essaouira ancora oggi occorrono due ore e mezzo di pulman o di macchina dall'aereoporto di Marrakesch. Da Essaouira non ci si passa. Ci si va. In quel niente si nascondevano il coraggio residuo e la paura che non aveva mai lasciato il campo. I nostri amici si sono arrangiati e di cosa in cosa ora sono ben piazzati. Maison d'hautes, ristoranti, scultura, musica, scrittura. Chissa che un giorno.Ciranohttp://www.blogger.com/profile/03455422693744274694noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4259514753459631562.post-76362991135534995932008-05-21T16:21:00.000+01:002008-06-16T11:40:06.280+01:00FalshbackIn piazza Dante, con alla porta accanto la bottega di un sarto, uno sportello tutto vetro e una piccola porta laccata verde. Sulla porta era scritta l'insegna con un carattere senza grazie, bold, bianco : Libreria Internazionalista Frantz Fanon. Era un'invenzione nostra, mia e di Paolo. Ero stato io che avevo trascorso un periodo a Parigi dando mano, in Rue Git le Coeur, alla Librairie Git le coeur dell' Union de la Jeunesse marxiste-leniniste e che, tornato in Italia, mi sono industriato con Paolo a ricostruire. <br /><br />Roberto Mariani, un architetto che un giorno prenderà la laurea ma che ancora brusco e meraviglioso giovanotto mi aveva introdotto al gusto e alla bellezza, la disegnò. Era un buchetto. Tre metri per cinque e un interessante retro bottega chiuso da una porta scorrevole. <br /><br />L'idea, lo dice il nome, era quella di vendere letteratura e saggi delle colonie: Francesi, Portoghesi,Inglesi. L'idea era quella di documentare la rivolta anti imperialista contro gli Stati Uniti d'America a cui naturalmente si univano le lotte degli afroamericani contro l'apartheid e le discriminazioni razziali. Quindi Asia, Africa e America Latina. Un bell'ambientino, dunque. <br /><br />Erano gli anni di Stokely Carmichael (1941-1998) il leader dello Student nonviolent coordinating commitee (SNCC), di Rudi Dutschke - Rudi il rosso, leader del SDS in Germania, di Daniel Cohn Bendit e della nostra incontenibile voglia di vivere.<br /><br />La libreria ci dava da fare. Non avevamo una lira e i libri in conto deposito si univano alle pubblicazioni in lingua estera dell'ambasciata Cinese, a quelle del Vietnam del Nord, ai vari quaderni e pubblicazioni delle Edizioni Oriente, del Partito Comunista Marxista Leninista. Avevamo i Quaderni Piacentini, Nuovo Impegno, Giovane Critica. I Quaderni Rossi e Panzieri erano già passati e si coglievano gli ultimi sprazzi di Franco Fortini.<br /><br />"Hanno fatto un deserto e lo hanno chiamato pace (Tacito)" lo slogan di una manifestazione che si svolse a Firenze e di cui Fortini fu oratore: "impiantano commerci commerciando impianti".<br /><br /> Anche il Gruppo 63 era sbiadito ma andava ancora forte Ombre Rosse e la durezza di Goffredo Fofi.<br /><br />L'incasso era quello che era e andava difeso con mano decisa da ogni tipo di emergenza: il panino, il viaggio, la riunione a Torino. Prestami i soldi per la benzina. La cassa andava difesa ma non si sapeva a chi spettasse il compito. Comunque la cosa si reggeva e mio padre sapeva dove trascorrevo il mio tempo: uno dei posti più pericolosi possibili.<br /><br />Infatti il '68 non aveva ancora preso bene il via che fui arrestato.<br /><br />Ogni giorno una manifestazione, ogni giorno una segnalazione. Dopo passava un questurino e consegnava la convocazione. Quasi sempre era per le ore 18. In questura per essere sentito su fatti che "lo riguardano". E', se "lo riguardano". A voler essere precisi ci sarebbe stato da andare dentro anche per gli sfottò che toccavano al brigadiere che eseguiva la consegna ma ormai pareva tutto un gioco e se ti convocavano, poi, avevi più cose da raccontare.<br /><br />Alle 18 la solita tiritera: a domanda risponde (ADR). Non c'era un granchè di domanda, figurarsi la risposta.<br /><br />Letto, approvato e sottoscritto. Una firma e posso andare.<br /><br /> La stanza si univa al corridoio con una porta a vetri. Vetro grosso lavorato, in trasparenza lasciava intravedere la sagoma. Aprii la porta e l'uomo mi disse: "Guelfo Guelfi ?" Si, risposi ma non ci fu silenzio, né stupore. "C'è un mandato di cattura da eseguire".<br />E che vuol dire ? Son prigioniero ? Si va in galera ? Ma non mi agitai. Trovavo la cosa ridicola soprattutto perchè si esprimeva con un tono bonario. Ma state attenti, era davvero bonario.<br /><br />Posso telefonare? No, ci pensiamo noi. Allora andiamo ? Si, certo andiamo. Ma la mia macchina che faccio, la lascio qui ? Se vuoi portala al carcere, la chiudi e poi qualcuno verrà a prendere le chiavi. Bene, andiamo. Io salii sulla mia Diane rossa e loro in due sulla volante. La strada la conoscevamo tutti bene ed era e rimane vicino il carcere alla questura. Così guidando piano piano, facendo si che si vedesse bene la mia non intenzione di fuga scorrevo la via verso il Don Bosco.<br /><br /> Guardavo intorno e avevo come la sensazione di un "addio ai monti", ai luoghi cari, ai volti amici, al mio tempo. Avrei anche voluto avvertire che nel mandato di cattura c'erano due nomi, il mio e quello di Marco Moraccini, uno studente di Cecina. Magari se non lo avevano ancora preso si sarebbe dato alla macchia. Ma niente. Solo poche curve e il parcheggio davanti al carcere. Chiusi la macchina, attraversai la strada. I due angeli custodi mi guardavano con un fare sciatto, routine, ed entrammo. Prima "ferrata". Era quasi sera e faceva freddino. Meno male che avevo il cappotto. <br /><br /> Una sosta all'ufficio matricola. <br /><br />- Chi è ? <br />- Uno studente.<br />- Ci mancavano solo loro - <br /><br /> disse una guardia anziana da dietro un banco alto come quello che si trovava all'ufficio del catasto dove a volte ero andato a rilevare qualche mappa.<br /> Perché io sono geometra - Istituto Tecnico A. Pacinotti, Preside il Prof. Malacarne ( per noi: cicciaccia), un mito - e appena diplomato avevo fatto un periodo di libera professione. Ero stato sui cantieri delle opere di captazione delle sorgenti per la costruzione dell'acquedotto dei comuni di Riparbella , Montescudaio, Castellina Marittima e se non sbaglio, Guardistallo. Che pace, che pacchia, che mangiate, tra i boschi. Ma torniamo all'Ufficio matricola del carcero Don Bosco. <br /><br />- Come ti chiami ? <br />- Guelfo Guelfi.<br /><br /> La guardia anziana, credo fosse un brigadiere, aveva tutti i capelli bianchi, ne aveva tanti, difficile tenerli composti, alzò gli occhi su di me e si avvicinò. Rimase però dietro il bancone. <br /><br />- Sei mica parente di quel Guelfi, zoppo, che fa la Scuola Guida ? <br />- Certo, è mio padre.<br />- Ah, ecco perché, qui è registrato anche lui. Deve essere lassù. <br /><br />Con lo sguardo indicò l'ultimo ripiano di un vecchio scaffale che riempiva la parete di fondo.<br /><br />- Quando sei nato ? <br />- Il 13 ottobre del 1945. <br /><br />"Il comunismo è come la sifilide, si trasmette di padre in figlio" la battuta è recitata da Gian Maria Volonté nel film "Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto" di Elio Petri. Il film è del '70 e quindi il brigadiere non la pronunciò. Comunque ci stava. Quando vidi il film la frase mi prese non quanto la scena madre con Florinda Bolkan. La scena mi turbò, la frase mi sorprese.<br /><br />La cella, in isolamento, era a piano terra. Le ferrate si chiusero a più mandate. La branda era incernierata al muro. Un letto a sbalzo. Il cesso e il lavandino erano la stessa cosa. Per cacare si abbassava il ferro. Sopra una fonte. La finestra era alta e non chiudeva bene. Uno spiffero freddo era pronto a farmi compagnia. Beh, ci siamo. Adesso aspettiamo che passi. Mi guardai intorno e non si affacciò nessuno spettro. Non mi agitavano oscuri pensieri. Mi sentivo al sicuro. Il freddo mi fece entrare un mal di testa che si placava solo rinserrandomi dentro il cappotto. Mi sdraiai, mi rannicchiai e cercai il sonno che non si fece attendere. Si aprirono così i miei trenta giorni di prigionia. Un'inezia che volò in compagnia di storie che parevano inventate. Invece erano vere.<br /><br />La presenza di mio padre si face sentire perché la vita è fatta così. Mette insieme le cose distanti, figuriamoci quelle di un figlio che fa finta di esser suo padre. Superata la fase in isolamento che durò due giorni, una volta interrogato dal giudice istruttore, fui unito a Marco che era stato arrestato la mattina dopo, e a Leonardo Stano, che era sopraggiunto insieme ad altri otto catturati durante la manifestazione di protesta per il nostro arresto. Avevo sentito il trambusto e avevo saputo degli scontri. Quella deve essere stata proprio una bella manifestazione ed io non c'ero. Anzi ero nel coro, nelle scritte sui muri.<br /><br />Seppi di Paolo che aveva tirato tre pietre con una mano sola, danneggiando la nostra retrovia. Seppi della Brigata Valle Giulia che aveva usato come base logistica per il proprio armamentario il retrobottega della libreria Internazionalista Franz Fanon (caschi da muratore bianchi e bastoni). Seppi del blocco della stazione centrale. Seppi che avevano cercato di farla grossa e in molti avevano debuttato negli scontri. Gli studenti menavano con soddisfazione. Non era ancora Maggio, ci fu la prima prova di coraggio.<br /><br />"Anche se il nostro Maggio a fatto a meno del vostro coraggio/Anche sa la paura di guardare vi ha fatto abbassare il mento/ Anche se il nostro fuoco ha danneggiato la vostra mille e cento/ Anche se non ve ne siete accorti/ Siete lo stesso coinvolti.."<br /><br />Sono trascorsi molti anni e quella manifestazione continua a offrire rivelazioni. Una è talmente gustosa che non posso trascurarla: Massimo D'Alema, che nel momento in cui scrivo è Ministro degli esteri di un governo caduto e battuto - la cosa non mi fa alcun piacere visto che a cadere è stato il "mio" governo -, Massimo D'Alema lanciò la sua prima e unica bomba molotov proprio negli scontri tra studenti e polizia, alla stazione centrale di Pisa dove allora era studente e dirigente dei giovani comunisti. Ho provato a chiedere, ho fatto alcune telefonate e di quella coppia di apprendisti guerriglieri ( D'Alema, Mussi) non ricorda nessuno. Ma aimè ero in altro luogo, non posso che immaginare e son portato a credere. Se Massimo lo ha detto vuole dire che è vero. Che interesse avrebbe a dire una cosa per un'altra ?<br /><br />Ma dicevo di mio padre. Una volta inseriti tra i comuni detenuti, quasi tutti in attesa di giudizio definitivo o condannati a piccole pene, ognuno di noi ha dovuto misurarsi con quella realtà. Niente di più facile. Gli scontri in onore di Marco e di me stesso, erano un meraviglioso viatico. Stringemmo mani, scambiammo sorrisi aperti direi con tutti. Il Giannetti era, credo, un uomo intorno alla sessantina. Magro come un chiodo, un po piegato in avanti, quasi sempre ubriaco, portatore disinvolto di cirrosi epatica. L'ora d'aria, mi pare di ricordare, finisse alle 15. Da quel momento e fino alla mattina successiva rimanevamo chiusi in cella. Anche il Giannetti mi aveva chiesto se fossi parente di Rodolfo ed anche a lui risposi di si, che era mio padre. Mi abbracciò e mi baciò. Mi smoccicò un bel po. <br /><br />- Prendi il vino della razione - mi raccomandò <br />- poi prima che chiudano le celle passo da te e me lo dai, va bene ?<br />- Va bene, gli risposi.<br /><br /> E così fu. Giannetti non solo ebbe la mia razione ma anche quella dei miei compagni riuscendo così a collezionare cinque o sei bicchieri di un vino rosso che solo allo sguardo pareva impossibile. Lui, chiuso, se lo beveva e dopo cominciava:<br />"Guelfino, chiamava, io e il tu babbo si che gliela facevamo pagare a queste merde fasciste. Pum, Pum. Altro ché. A queste maschere luride pagate al soldo di questa società malmessa. Su questo mastodontico palcoscenioco di pirateria" Questa la litania che ripeteva urlando per un pò. Finche tra le urla di tutti gli altri smetteva. Non perché ricondotto a ragione, piuttosto perché aveva finito la forza ed era crollato nel sonno.<br /><br />Una volta fuori, ero in libreria, me lo vidi apparire: abbracci e baci mocciosi. Lo aiutai per quanto potevo. Giannetti non aveva nessuno e finiva sempre che se non era un giorno sarebbe stato un altro ma tirava una sedia dentro una vetrine e tornava al Don Bosco quando non finiva al manicomio criminale di Volterra. <br /><br />Poi un giorno s'affacciò uno e mi disse. Il Giannetti è morto. Pace all'anima sua. Aveva lasciato per sempre il "mastodontico palcoscenico di pirateria".Ciranohttp://www.blogger.com/profile/03455422693744274694noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4259514753459631562.post-484270739596633252008-05-05T10:35:00.000+01:002008-05-21T16:29:39.368+01:00Son più di quarantaLa festa era talmente allegra,<br />parole grosse si scioglievano in giochi,<br />l'acqua della fontana, la notte, era più limpida,<br />nostra.<br /><br />Le ombre, dipinte, salutavano,<br />ascoltavano storie che non c'erano,<br />e ognuno riandava senza conoscere la noia,<br />stava.<br /><br />Cose da maschi, il territorio palmo a palmo,<br />cose da morire ridendo, cantando,<br />di tanto in tanto,<br />un urlo.<br /><br />Il prezzo all'improvviso era saldato<br />il resto non veniva mai raccolto<br />né conservato,<br />erano ore notturne.<br /><br />La festa era talmente allegra <br />che l'invidia l'avvolse o la scemenza,<br />si uscì senza dir niente,<br />qualcuno aveva cambiato la musica.<br /><br />Vieni, ti aspettano,<br />ma è presto,<br />nient'affatto è già accaduto <br />tutto.<br /><br />Sulle spallette la fiaba<br />si è fatta romanzo<br />ora procede lontana<br />la faccia mesta.Ciranohttp://www.blogger.com/profile/03455422693744274694noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4259514753459631562.post-48048796997004984692008-05-03T14:09:00.000+01:002008-05-03T14:17:56.319+01:00A proposito di voti andati di traverso"Che cosa voglion dir quegli occhi tristi ?<br /><br />"Io son di chiesa e voto i socialisti."<br /><br />"Se c'è un Dio, se c'è un Paradiso, <br />Luciano, tuo fratello, Lui ci andrà. <br />Lui che non crede, Lui non va alla messa<br />è socialista e questo cosa fa.."<br /><br />Nel mio giardino, in questa stagione, è intenso il canto degli uccelli.<br />Poco fa ho riconosciuto un motivo di tanti anni fa.<br /> Parlava del 18 Aprile del 1948.<br /><br />Se il Paradiso ci attende <br />la condizione è ottima:<br /><br />Il paradiso può attendere !Ciranohttp://www.blogger.com/profile/03455422693744274694noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4259514753459631562.post-83404693819817521622008-04-22T16:29:00.000+01:002008-07-28T11:13:26.436+01:00Frantz FanonAnche i libri restano vittime inconsapevoli di bruschi cambiamenti. Si possono avere motivi per sbattere una porta e loro restano chiusi dentro l'incompatibilità e le conseguenti cattive relazioni. C'è chi è forte e torna a prendersi i libri e chi come me, sentendosi anche in colpa, cancella il file e se la vita deve continuare tanto vale ricominciare. Passano gli anni e restano in mente, alcuni riemergono con il tempo. La prefazione di Jean Paul Sarte. Le note biografiche e quindi il saggio: "I dannati della terra". Einaudi editore. La nostra piccola libreria di Piazza Dante prese quel nome da un medico nato a Fort de France nel Luglio del 1925.Ciranohttp://www.blogger.com/profile/03455422693744274694noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4259514753459631562.post-41206802940896349502008-04-14T09:36:00.001+01:002008-04-22T11:05:30.685+01:00Il giorno delle elezioniNon vedo l'ora che passi eppure sò che meglio non può andare. E' inutile. Abbiamo già preso tutto e lo abbiamo difeso senza guardare. E' così tanto che anche volendo e difficile rendersi conto.<br />Ecco dove mi trovo. Sul confine ampio di una fortuna sfacciata. Restare, andare, non cambia molto. Ora, via, via, qualcuno lascia ma saluta con garbo e ritrosia. L'importante è non darsi troppe arie e nemmeno troppo da fare.<br />Non c'è niente che meriti di essere confessato. E' tutto talmente evidente che ben che vada confessare ispira commiserazione o peggio: è un interesse privato in atti d'ufficio. Ma cosa credi di aver fatto ? Cosa credi di aver visto ? Eravamo come siamo tutti insieme, gli uni e gli altri, alcuni dietro altri più in là. <br />Quelli coscienti non vedevano il presente, quelli incoscioenti ridevano, bevevano e correvano cantando. A sera non volevano tornare a casa e alla mamma riservavano piccoli dispiaceri quotidiani per costruire così un dolore sordo che la trasfigura.Ciranohttp://www.blogger.com/profile/03455422693744274694noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4259514753459631562.post-44381767580379150042008-04-09T12:25:00.000+01:002008-05-21T17:10:30.245+01:00Il Comandante CecchiniIl Cecchini ogni tanto appariva. Aveva una bella macchina. Sarà stata un milleequattro. Grigia lucente, le maniglie cromate come le rifiniture intorno ai fari e la mascherina. La parcheggiava vicino al fico ma non sotto. Era meglio scaldata al sole che appiccicosa. Il Cecchini scendeva e chiudeva lo sportello senza guardare basso. Anzi. La testa alta già salutava prima di avere tutti e due i piedi a terra. <br />“Ciao. C’è il tuo babbo ?”<br />“Si è di là” e indicavo la porta piccola del garage.<br />“Cosa ci fai con quella pistola in mano ? Chi te l’ha data ? Il tu babbo ? Non gli è bastata la guerra? Gioca con i libri, che è meglio”<br /> Era elegante il Cecchini. Alto, due baffetti curati, il sorriso di chi ha dimestichezza con i soldi. Noi invece ci volevamo bene. Eravamo tutti ben tenuti ma senza alcuna dimestichezza con i soldi. Non c’erano, né se ne ragionava.<br />“Ciao, Rodolfo”<br />Il babbo s’era affacciato alla porta e con in mano uno staccio e un carburatore. Sorrideva.<br />“Ciao Comandante, come stai ? Come mai da questa parti ?”<br />“Senti un po’ questa macchina e dimmi se vale la pena comprarla. E al tuo figliolo compragli i libri, che con le pistole si combinano solo guai.”<br />“Si ma se non l’avessimo usate non ci sarebbero state nemmeno le orecchie per scrutare i motori. Le armi son armi. Lo dice la parola stessa. Il problema sono gli uomini. Un bel problema davvero. Hai sentito ? Vorrebbero parlare, vogliono la democrazia, ora. E i nostri anni di galera, niente? ..”<br />Intanto Rodolfo si avvicinava alla macchina e anch’io con loro, nel mezzo ai loro corpi e alle loro parole. Mi sembravano belli. Li sentivo amici. Mi sentivo al sicuro.<br />“Dai, Comandante, metti in moto”<br />Cofano aperto la testa infilata nel vano motore ed io di lato quasi sdraiato sul parafango anteriore sinistro, opposto a mio padre che toccando una levetta smanettava e faceva trillare il motore. Uno, due, tre, colpetti poi disse:<br />“Spengi.” Un passo, ancora due tocchi e chiuse il cofano.<br />“Dipende da quanto chiedono. Batteria al 60%, gomme altri 15.000 kilometri, motore a posto, carrozzeria buona e non direi che abbia avuto incidenti seri anche se riverniciata è riverniciata.”<br />“Sei un grande, Rodolfo.”<br />Poi si girarono verso la porta del garage e s’incamminarono. Mi trattenni un attimo con il rombo del motore e la scansione dei tocchi ancora negli orecchi e di fronte agli occhi la strada polverosa di campagna e l’auto che sfrecciava.<br />Il Cecchini mise una mano sulla spalla al mio babbo e le teste si avvicinarono e le voci si abbassarono<br />“Non parleranno Rodolfo, né torneranno. Son passati più di dieci anni. Quella è partita chiusa.”<br />“Non passa giorno che non ci provino, sono sempre più spavaldi e gli Americani e i Democristiani gli passano l’ossigeno. Potrebbero sempre tornare utili”<br />“Noi abbiamo fatto tutto quello che dovevamo e non siamo bestie, noi. Ora pensiamo a crescere i figli, ad allontanarci, senza dimenticare va bene, ma ad allontanarci. Ora non sono più il Comandante Cecchini e tu non sei più il Commissario politico, il comunista..ora io sono l’Architetto e tu sei un bravissimo meccanico, un onesto operaio. Noi stiamo costruendo un paese nuovo, libero e lo facciamo per loro..”<br />Ero di nuovo là in mezzo. Non capivo granché ma avevano detto che lo facevano per me. Questo mi piaceva. Avevano anche detto che avrei dovuto studiare e questo mi piaceva meno.<br />“Lo so, lo so. Tu comunista non eri. Ci hai guidato, hai avuto coraggio e io ti voglio bene. Ma tu comunista non eri e non lo puoi diventare, ora.”<br />“Va bene, lo diventerò più avanti.” <br />Ridevano e Il Comandante chiese di mia madre<br />“E Carla, come sta Carla.”<br />“Bene, bene. Vuoi fermarti a mangiare? Vedrai che da un momento all’altro arriva”<br />“Grazie, ho un impegno. Ma salutami la più bella ribelle della nostra compagnia. Uno di questi giorni torno e stiamo insieme.”<br />Il Comandante mi guardò, mi strappò di mano la pistola con un gesto rapido e fingendosi incattivito mi sparò due o tre colpi. Poi sorrise e ripeté<br />“Ci vogliono i libri, i libri..”<br />Aprì lo sportello, mise in moto, fece manovra e se ne andò.<br />Mio padre mi guardò e di botto mi chiese:<br />“Cosa leggi a scuola ?”<br />“Antologia, Storia, Matematica..” e nel frattempo mi allontanavo e tornavo con la mente più che alla guerra partigiana ai film western dei quali senza darlo a vedere vestivo le sembianze e imitavo le movenze. <br />Saremo stati nel 1955Ciranohttp://www.blogger.com/profile/03455422693744274694noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4259514753459631562.post-68588313295840935712008-04-07T14:57:00.000+01:002008-06-18T11:02:01.395+01:00Dichiarazione d'amoreSaranno da poco passete le dodici. Davanti, schierata: "la commissione". Dietro mia madre, mia figlia e mia moglie. Noi siamo vestiti bene. Senza esagerare ma bene. Anche loro indossano il rispetto che si deve avere in un' occasione come quella. L'aula vuota ha un pò d'eco. Anche il respiro ci suona nelle orecchie. Noi ci riconosciamo. Sono trascorsi trentacinque anni, forse qualcosa di più da quando disertavo le lezioni e frequentavo le riunioni. Tutto andava bene: dal volantinaggio alla fabbrica contro il cottimo, all'interruzione delle lezioni. Il sabotaggio degli esami. La scuola allora era certamente dei padroni, come i giornali e i governi di cui a mala pena sapevo il nome del Primo Ministro. Ora siamo educati, seduti, sembriamo "dipinti".<br /><br />"Se me lo consentite vorrei anticipare la mia esposizione con una dichiarazione" <br /><br />Mi guardano stupiti ma non più di tanto. Non c'è pericolo. Non si tratterà di una "rivendicazione" anche se a quella pensiamo tutti meno mia figlia. Ma resta l'imbarazzo in ognuno. Sembriamo in attesa di vedere di che cosa si tratti.<br /><br />"Prima di esporre il mio lavoro mi sento di porgere a Voi, a queste mura, all'Istituzione Universitaria, all'Ateneo, le mie scuse. Il Professore nel presentarmi ha fatto cenno al mio passato di contestatore, ad una stagione della mia vita ormai lontana. Vorrei non rinnegare, vorrei anche non rammaricarmi. In quei giorni prendeva corpo, forma e sostanza una rivendicazione di cui un pò tutti siamo stati parte. Di alcuni di voi sono sicuro. Una stagione ricca. In queste aula circolava gente che non era prevista. Ecco per molti di noi non era nemmeno previsto rispettare quello che in queste aule aveva casa. Non tutti, ma io fui tra quelli che non vollero trarre profitto."<br /><br />Il tutto si svolgeva con una naturalezza paziente. Non ci fu meraviglia per quelle parole nè si attendevano. Suonarono come il segno della croce di un calciatore prima di entrare in campo.<br /><br />Sono fatto così. Non si fa finta di niente quando a sessant'anni, un paio di giorni dopo il compleanno ci troviamo uniti alla famiglia a conseguire la Laurea in Letteratura Italiana.<br /><br />"Chiedo scusa."<br /><br />"Bene, grazie." Disse timidamente il Presidente mentre gli altri mi guardavano senza esprimere partecipazione. <br /><br />"Adesso vuole esporci il suo lavoro ?!"<br /><br />" Certo, con piacere."<br /><br /><em>Parleronsi li omini di rimotissimi paesi l'uno all'altro e risponderonsi</em> Un pensiero di Leonardo da Vinci espresso nel Codice Altlantico nei primi anni del 1500...Ciranohttp://www.blogger.com/profile/03455422693744274694noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4259514753459631562.post-27421861157408214432008-03-31T11:09:00.000+01:002008-03-31T15:47:40.894+01:00INCIPITI tratti caratteriali non si discutono. Ognuno indossa i propri e quelli si porta dietro tutta la vita ed oltre. C'è poco da fare. L'aspetto mite, la sventatezza. La propensione a precorrere o a pregustare. Precorrere tanto da trovarsi sperso. O pregustare al punto di non aver più fame. <br /><br />Ora mi chiedo se i tratti caratteriali siano quelli a cui si ricorre nel raccontare la storia altrui? Quindi il risultato di un'osservazione o piuttosto la presa d'atto delle conseguenze che sommandosi vanno a disegnare il corpo ?<br /><br />Davvero non so riconoscere in ogni altro se non un lato e il suo contrario. Il vigliacco che si fa ardito. L'avaro che apre la borsa. L'altruista che scompare alla richiesta d'aiuto. Il fedele infido. Il bestemmiatore che appena può ricorre alla Divina Provvidenza. Quindi, dove siamo ? Di che cosa stiamo parlando ? A chi affidiamo la nostra attenzione se non ad una costruzione improria di fiducia, di lealtà, di speranza.<br /><br />Il tutto per arrivare a dire che Io, Impaziente, Che Io, Irrascibile e Impertinente. Io che partecipo da tempo ancora non so che sia accaduto. Né mai lo saprò.Ciranohttp://www.blogger.com/profile/03455422693744274694noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4259514753459631562.post-2822794693066184282008-03-28T09:35:00.000+00:002008-06-18T10:54:56.129+01:00Il cambioIn Lung'Arno Galilei, poco dopo la guerra, all'altezza di un ponte provvisorio in legno che univa le due sponde del fiume, c'era il "Garage della Real Casa"con la sua bella insegna scritta sul muro e la sua bella data : 1936. Io sono nato là. Nella parte posteriore. La parte anteriore - che pareva una piazza coperta e aperta - due bei portoni di legno spalancati. Alla casa, si arrivava attraverso una porticina, un corridoio breve, stretto e buio. Il cambio di ogni auto parcheggiata nel "Garage della Real Casa" era per ore l'oggetto dei miei giochi. Ora accelleravo, ora scalavo. Ora mi piegavo ed ora mi rilassavo. Sgommate con la bocca, rumori diversi e frasi concitate strette tra i denti. Il cambio.<br /><br />Molto è cambiato e molto avremmo voluto cambiare. La fortuna ha voluto che sia cambiato davvero tutto meno quello che avremmo voluto cambiare. Uno si porta dietro tutto durante un cambiamento. <br /><br />C'è una scatola da scarpe a casa di mia madre. Ancora. Quando vado da Lei, sempre più raramente, entro in quella che era camera mia, mi siedo per terra, apro il mobile di legno lucido che proprio da camera non mi è mai sembrato e tiro fuori quella scatola. E vedo quanto siamo cambiati restando fermi esattamente dove eravamo. <br /><br />Forse è il giudizio tenace su ciò che ci capita di vivere che non si sposta.Ciranohttp://www.blogger.com/profile/03455422693744274694noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4259514753459631562.post-37291730468772673782008-03-09T10:52:00.000+00:002008-03-09T10:57:25.411+00:00Quando non è aria..Ieri il mio post è andato perso. Speriamo sia andato a cercare quel nuovo tentativo di dar forma ad una scrittura che traendo spunto dalla autobiografia giunga a passo lesto verso il romanzo. <br /><br />Ennesimo tentativo smarrito.<br /><br /> E ditemi che questa non è un'ambizione che merita di esistere, di essere nutrita, di non veder la luce.<br /><br />Un abbraccio.Ciranohttp://www.blogger.com/profile/03455422693744274694noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4259514753459631562.post-42692472419046622812008-03-08T16:36:00.000+00:002008-06-18T10:45:15.446+01:00Quando non è aria, non è aria. Rigiro nella testa brandelli autobiografici con il desiderio di vederli acquistare corpo, spessore narrativo, garbo. In altre parole cerco la forma giusta per disporre un testo all'interesse e alla comprensione. Vorrei essere, però, divertente, attraente, piacevole.Mica poco, no ? <br />Ogni tanto do inizio: qualche pagina, un approccio, la scaletta, i tempi, i contenuti, gli episodi, gli ambienti. Poi metto da parte e dopo un pò perdo tutto. Non ricordo ma ho salvato ? Dove ho salvato. Non che questo ammazzi l'opera. Non c'è problema. Nessuno ha perso nulla. La sottrae semplicemente alla mia cura. Alla revisione. A pentimento. Alla vergogna. <br /><br />Ora per esempio sono a casa. E' Sabto 8 marzo e mancano quindici minuti alle 18. Martina è tornata dalla gita scolastica - seconda liceo classico, Michelangelo a Firenze - forse ora dorme. Ma ha già fatto in tempo a mostrarsi molto antipatica. Si è lasciata col ragazzo che nel frattempo era andato a sciare non so dove. Stella ha l'influenza, la curo da due giorni. La cosa mi diverte e mi fa anche piacere. Darsi attenzione: un bel modo per stare insieme e da un bel pò d'anni.<br /><br />I fiori, la mimosa l'avevo già comprata ieri. Per tutte e due. Invece stamani sono stato al gatzebo del PD. Giù in piazza, qui a Compiobbi. Siamo in campagna elettorare e vale la pena di vedere. Meglio sarebbe darsi da fare. L'aria che tira è di speranza ma ognun per se. Rannicchiati.Forse appagati dalla serata in Tv. Alcuni, al gatzebo, si fermavano con l'aria di chi ha ha perso o ti guartda mentre perdi e si dispiace. Altri, più giovani sorridevano e salutavano senza entrare nel merito. Poi ci sono quelli che danno coraggio e non perdono l'occasione per far vedere che l'oro ci sono e c'erano ieri sera davanti a Bruno Vespa o a Ballarò. Ma è vita e non è cosi male.Ciranohttp://www.blogger.com/profile/03455422693744274694noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4259514753459631562.post-90564521200221592142008-03-07T08:58:00.000+00:002008-03-07T09:26:59.798+00:00Peccati nello stagnoSe sono così tanti i "senza peccato" non rimane da augurarsi che le pietre scagliate riempiano lo stagno di Narciso.Ciranohttp://www.blogger.com/profile/03455422693744274694noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4259514753459631562.post-64193665140980281422008-02-11T12:48:00.000+00:002008-02-11T13:43:15.747+00:00Un epidemia senza vaccino: la creatività.Non è mai stata rassicurante la frase: "ne ho viste di tutti i colori". "Se le son dette di tutti i colori", poi, poteva essere seguita da "se le son date di santa ragione". Insomma con chi ce l'ho ? Ce l'ho con la creatività. Esprimere un qualsiasi concetto con un piglio creativo è la malattia dei giorni nostri. Nella vita quotidiana se ne vedono di strane. Ma quello che spaventa ora è ciò che accadrà nell'agone politico. Creativi si diventa. Consumatori di creatività si nasce.<br />La malattia si manifesta non a partire da una abilità che bene coniuga la sintesi con la metafora al banale fine di rendere memorizzabile una questione. No. La competizione è a chi la spara più grossa. A chi urla più forte: bau sette ! Chi fa ricorso alla aggressione dell'immaginario con attrezzi da basso fondo. Liquame, cattivi odori, ombre.<br />Ad ammalarsi è l'ambiente. a degradarsi sono le relazioni e i comportamenti umani. Il linguaggio si contrae al punto che la descrizione cede il passo allo sgarbo. Il gesto sostituisce la frase. Il rumore si fa più forte della scena. Il tempo scorre in fretta. si assiste al confronto d'istantanee. Un ciack contro l'altro. Bagliori.<br /><br />Ieri Veltroni ha aperto la campagna elettorale con un discorso pacato, inserito in un'inquadratura che è parsa a tutti falsa. Tant'era vera. Una cartolina da tempi remoti: le valli, le piante, gli antichi casali. Il riposo silenzioso del passato e il vento che scompone i capelli e la voce che viene e che va portando un invito. "Non da soli, ma liberi". Cinque parole che hanno il sapore e persino il colore di un antidoto. E' i comunicatori ? I grandi creativi ? A commentare in fretta che questo non è nuovo. Loro avrebbero detto merda, in culo alla balena. Avrebbero strizzato pustole, ruttato nel micrfono, preso a calci i poveretti. <em>Noi si sa</em> altro che <em>noi si può</em>. Questo avrebbero messo in onda i creativi.Ciranohttp://www.blogger.com/profile/03455422693744274694noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4259514753459631562.post-9754070408433708492008-02-07T10:49:00.000+00:002008-02-07T11:02:07.133+00:00Segni di vitaNo, non si tratta che di una pausa di riflessione. La pentola continua a bollire. La cronaca non sorprende. Casomai fa un pò paura. Quello che sembra avvicinarsi ha tutto fuorché allegria. Però fa più paura l'immondizia che Berlusconi. Anzi Berlusconi non fa paura. Temo più quello che potrebbe seguirgli. Infondo Lui c'ha l'interesse che lo tiene in vita. L'immondizia, il gasolio, la farina e l'acqua. Queste sono parole che spaventano. E' meglio non guardare.<br /><br />Stranamente sono animato da una gran voglia di fare. Ma a me piacerebbe fare squadra e sono anni che non trovo il verso. Il modo. Sarò io ?Ciranohttp://www.blogger.com/profile/03455422693744274694noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4259514753459631562.post-20416796187885174002008-01-10T14:44:00.000+00:002008-01-10T14:46:55.562+00:00Una bella contraddizioneA reccontare mi sento vanitoso. A non farlo mi sento avaro.Ciranohttp://www.blogger.com/profile/03455422693744274694noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4259514753459631562.post-52884163164588394692008-01-02T14:03:00.000+00:002008-01-02T14:13:42.160+00:00Un cassetto vuotato nei postTanto per non perdere la traccia. I Post pubblicati oggi altro non sono che il frutto di un cassetto con dei ritagli. Lo so che si capisce e che non è necessario mettere un ordine. Sarebbe come pretendere di ordinare ai pensieri di venir su uno alla volta, argomento per argomento, con la giusta documentazione allegata. Il chi, che cosa, quando, dove, per giungere chiaramente al perchè.<br /><br />Non vi chiedo che di aver pazienza.Ciranohttp://www.blogger.com/profile/03455422693744274694noreply@blogger.com0